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Introduzione e cenni storici
Rappresentano un serio problema di approccio clinico non tanto per l’approccio clinico o terapeutico quanto ai fini di una esaustiva classificazione.
Decritta per la prima volta nell’antica Babilonia nel trattato di medicina babilonese compilata tra il 1067 ed il 1046 a.C designata con il nome di “MIQTU” o “malattia che fa cadere”, in queste tavolette venivano descritte accuratamente tutte le espressioni cliniche, nella cultura greca chiamata “male sacro” alludendo una origine soprannaturale del disturbo ed ancora “mal caduco” nel Medioevo e Rinascimento.
In Neurologia Veterinaria si è finito per adottare una formula prestata dalla medicina umana in modo spesso improprio e non sempre efficace per i nostri animali.
Epidemiologia ed incidenza
Razze canine maggiormente predisposte:
Bassotto Tedesco, Barboncino, Boxer, Beagle, Bovaro del Bernese, Carlino Italiano, Cavalier King, Cocker Spaniel Inglese, Collies, Fox terrier, Keeshound, Labrador Retriever, Yorkshire Terrier, Golden Retriever, Pechinese, Poodles, San Bernardo, Setter Irlandese, Siberian Huscky, Schnauzer, Terveuren ecc..
In campo umano si ritiene che circa l’1% della popolazione mondiale e non solo nazionale ne sia colpita, circa il 30% di questi pazienti non trae alcun giovamento dalla terapia tradizionale.
Terminologia corretta
E’ corretto impiegare il termine “epilessia” recuperandone il reale significato etimologico della parola che deriva dal greco e significa “essere posseduto, essere preso o attacco, accesso, assalto”; identifica l’insorgenza di crisi convulsive ricorrenti o ripetute nel tempo indipendentemente dalle cause scatenanti.
Dai Latini veniva soprannominato “Morbus Comitialis” dal momento che un caso di malattia nei pubblici comizi era di male augurio e provocava l’annullamento della deliberazione.
Si preferisce adottare il termine di “attacco epilettico o di crisi epilettica” quando la crisi convulsiva rilevata risulti singola o qualora numerose siano sufficientemente distanziate nel tempo.
Esistono crisi epilettogene “a grappolo” che rappresentano una vera emergenza in campo neurologico dal momento che si presentano come crisi prolungate che si susseguono e si potenziano tra loro sommandone gli effetti, pericolose per la sopravvivenza dell’animale qualora non trattate opportunamente ( pericolo di blocco cardio-respiratorio).
In merito si preferisce adottare il termine di ” male epilettico”, che corrisponde all’analogo “stato di male” in campo umano. Possono essere la conseguenza di sospensioni improvvise ed ingiustificate di terapie con farmaci anticonvulsivanti, in altri casi rappresentano una complicazione chirurgica a seguito della riduzione degli “shunt” portosistemici.
Eziopatogenesi del disturbo
Con il termine “epilessia” o “manifestazioni epilettiformi” (ME) si designa collettivamente un gruppo di disturbi che originano in alcune aree degli emisferi cerebrali, si tratta di ricorrenti episodi subitanei o transitori chiamati propriamente “accessi, crisi, attacchi” spesso associati a disturbi motori, sensoriali, neurovegetativi e psichici.
Si innescano scariche elettriche anomale nei circuiti neuronali appartenenti alla corteccia cerebrale motoria o di aree subcorticali connesse che improvvisamente si accendono, si eccitano scatenando onde ed impulsi elettrici alterati ed incontrollabili in grado di propagarsi rapidamente. Il carattere distintivo di questi impulsi è rappresentato dalla accessualità, cioè il fatto di presentarsi improvvisamente e la tendenza a ripetersi.
Le ME compaiono nel momento in cui si verifica un mancato equilibrio all’interno del sistema di controllo tra stimolazioni eccitative neuronali (circuiti Acido Glutammico*-dipendenti) e stimolazioni inibitorie (circuiti GABA**-dipendenti).
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*Acido glutammico = Aminoacido che svolge una funzione di neurotrasmettitore eccitatorio nel cervello e nella colonna vertebrale
**GABA = acido gamma-aminobutirrico derivato dall’acido glutammico neurotrasmettitore inibitorio distribuito nel cervello e nel midollo spinale.
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Spesso questi “foci o focolai epilettogeni” possono rimanere silenti per periodi prolungati, controllati da altrettanti neuroni sani che li circondano ed hanno la funzione di neutralizzarne le scariche anomale emesse. Qualora l’ attività di questi neuroni venga in qualche modo sopraffatta la “soglia di convulsività” viene superata ed insorgono i classici sintomi di malattia.
La anomali attività di questi neuroni, finalistiche, disordinate e spesso autolimitanti daranno vita a manifestazioni sintomatologiche diverse in funzione della estensione e localizzazione dell’area cerebro-corticale interessata a partire da un unico emisfero o di entrambi gli emisferi fino all’interessamento dei circuiti talamici e del tronco encefalico.
L’ipotesi focale epilettogena venne formulata da colui che viene considerato tutt’ora il padre della moderna epilessia, il neurologo britannico John Hughlins Jackson (1834-1911); per primo parlò di possibili scariche sporadiche, subitanee, eccessive, rapide e locali a carico di alcuni segmenti della sostanza grigia capaci di provocare una sequenza di eventi generalizzati in tutto il corpo.
In anni successivi è stato possibile verificare come quella teoria fosse plausibile e dimostrabile attraverso l’analisi accurata di tracciati elettroencefalografici (EEG) di pazienti che presentavano onde elettriche di grande ampiezza associate a “spike” di alta frequenza.
Ulteriori sperimentazioni hanno confermato che il processo di innesco dell’onda anomala corrisponda ad una sorgente che emette scariche elettriche di intensità e di frequenza sufficientemente alta da produrre modificazioni adattative in gruppi di neuroni contigui e connessi propagandosi a sua volta in nuovi circuiti neuronali che potranno fungere da focolai secondari. Attualmente alcune esperienze hanno permesso di prevedere in molto pazienti la insorgenza di eventuali crisi con facile approssimazione.
Di conseguenza le crisi epilettiformi (ME) potranno essere estremamente polimorfe.
Le sindromi epilettiche vengono spesso definite e classificate in base alla eziologia, alla presentazione clinica e prognosi.
Tipologia delle crisi
In funzione delle dimensioni del focolaio nella sede anatomica coinvolta si potranno distinguere:
1. Accessi o crisi parziali
a) Crisi focali semplici
b) Crisi focali complesse
In linea generale queste crisi sono caratterizzate da un coinvolgimento di una determinata porzione anatomica cerebrale monolaterale che può rimanere localizzata oppure può espandere fino ad entrambe le strutture emisferiche (forma generalizzata).
In linea generale queste crisi parziali non sono molto frequenti in campo veterinario o è più facile vengano sottostimate per la effettiva difficoltà di riconoscimento da parte del proprietario come del Veterinario. Si stima che circa il 10 % degli animali con epilessia idiopatica ne sia colpito.
a. Accessi focali semplici = senza compromissione della coscienza – crisi o focus in zone circoscritte di un emisfero a livello di corteccia corticale ed esordiscono con stimolazione involontaria di pochi fasci muscolari anche asimmetrici con segni o sintomi limitati (mioclonie o crisi Jacksoniane in campo umano, spasmi di modesta entità). Queste possono anche evolvere in crisi generalizzate quando diffondono lungo l’intera area corticale motoria. Per alcuni autori non rientrerebbero in una classificazione di ME (dal momento che spesso non associabili a crisi motorie involontarie o convulsive), per altri ancora ritenute indicative di alterazioni strutturali del parenchima cerebrale.
In Neurologia Veterinaria riconosciamo: ammiccamenti, tremori, tic spontanei o contrazioni di pochi fasci muscolari sopratutto a carico di: muscoli facciali, muscoli labiali, muscoli auricolari
Talvolta nei piccoli animali questi segni risultano bilaterali ad indicare un coinvolgimento di entrambi gli emisferi cerebrali, non è difficile osservare contemporaneamente altri segnali tipici del Sistema Nervoso Autonomo.
In campo umano queste manifestazioni sono genericamente precedute da sensazioni soggettive o alterazioni sensoriali (sensazioni visive, uditive, gustative, pallore, sudorazione, ansia, vertigini , allucinazioni, parestesie ecc..) non sempre facilmente identificabili nei nostri animali.
b. Accessi focali complessi = con compromissione della coscienza – crisi convulsive che si accompagnano a turbe comportamentali, si parla genericamente di “crisi psicomotorie” con manifestazioni cliniche neurovegetative più o meno intense. In questo caso è possibile assistere alla presenza di segnali premonitori: aggressività, assenze, paure, vocalizzi, confusione mentale.
Fra questo gruppo alcuni autori fanno rientrare la “fly biting syndrome o jaw snapping syndrome” che può colpire cani di diverse razze di piccola taglia i quali tendono a mordere con un movimento a scatto l’aria circostante o un oggetto immaginario nel vuoto e che finiscono per inseguire con lo sguardo. Ne sono particolarmente predisposti i Cavalier King Charles Spaniel.
Ancora il “tail chasing“ nel quale il cane incomincia a girare su se stesso in modo spasmodico ed irrefrenabile nel tentativo di mordersi la coda, le razze Terrier risultano particolarmente sensibili. Resta da chiarire se questi disturbi siano di pertinenza neurologica o esclusivamente comportamentale, esiste al riguardo un acceso dibattito.
Viene descritta da alcuni autori americani una sindrome psicomotoria che viene classificata come un particolate tipo di epilessia chiamata “sindrome di Jeckyll e Hide” nella quale il cane assume incoscientemente un comportamento fortemente aggressivo con attacchi incontrollati diretti nei riguardi di un familiare.
Quando la crisi focale o il focolaio di insorgenza non è localizzabile in un punto preciso ma nasce coinvolgendo l’intera corteccia cerebrale motoria di entrambi gli emisferi, si parla di:
2. Accessi o crisi generalizzate
a) non convulsive b) convulsive
si differenziano dai precedenti per il fatto di essere o meno accompagnati da sintomi convulsivi che potranno interessare fasci muscolari bilaterali o simmetrici a carico di tutto il corpo. Spesso le scariche neuronali finiscono per riverberare a livello delle strutture subcorticali e talamiche propagando la crisi in altri circuiti neurosensoriali. Sono quelle a cui assistiamo nei nostri animali.
In funzione della tipologia della crisi verranno differenziate:
1) generalizzate “non convulsive” (” piccolo male”):
a) “assenze epilettiche” o “blackout neurologico” = brevi e subitanee perdite transitorie di coscienza non necessariamente accompagnate da attività motoria, solo qualche breve ammiccamento o tremore a carico di fasci muscolari singoli. In campo umano corrisponde al classico “piccolo male” riscontrabile nei bambini, in campo veterinario vengono segnalati animali che fissano il vuoto, aprono e chiudono ritmicamente la bocca a scatti o scuotono la testa in modo ritmico o assumono altri atteggiamenti insoliti.
2) generalizzate “convulsive” ( “grande male”):
in questo caso è possibile assistere a disturbi parossistici differenziati in relazione al coinvolgimento muscolare ed alla dimensione del fenomeno corticale. Distingueremo:
a) Accessi clonici = contrazioni cloniche ritmiche (classico pedalamento degli arti) di tutti i muscoli con perdita di coscienza ed intense manifestazioni autonome.
b) Accessi tonici = prevale la fase tonica e quindi la componente spastica con ipertonicità muscolare es: opistotono, rigidità degli arti con perdita di coscienza oltre a stimolazione neurovegetativa.
c) Accessi tonico–clonici = convulsioni generalizzate costituite da sequenze di violenti spasmi tonici estesi alla muscolatura di tutto il corpo a cui fanno seguito contrazioni cloniche sincrone, ritmiche, prolungate (fase di rilassamento) spesso accompagnate da fenomeni neurovegetativi e depressione del sensorio, equivalgono al classico quadro del “grande male”.
d) Accessi atonici = perdita del tono posturale con ciondolamento del capo, perdita della stazione quadrupedale e caduta.
Nei nostri animali prevalgono crisi generalizzate del tipo “grande male”, più difficili rilevare le crisi focali semplici, tipo “piccolo male”.
Classificazione clinica delle crisi epilettiformi (ME)
L’inquadramento diagnostico prevede una distinzione in funzione della causa eziologica, si identifica:
1. epilessia primaria (EI) o essenziale (o idiopatica) : designa quel complesso di disturbi disfunzioni neuronali nei quali non sia possibile identificare una alterazione morfologica, si escludono cause strutturali intracraniche o extracraniche. Indica sostanzialmente uno stato di sofferenza cerebrale classificata come funzionale. Si presuppone possa avere una origine genetica e comunque ereditaria dal momento che può comparire in animali giovani a partire dal compimento del sesto mese fino a 5 anni di età.
In linea generale queste ME si manifestano in cani giovani dai 6 mesi di età oppure tardivamente sino a 6 anni anche meticci, maggiore incidenza in alcune razze specifiche: Pastore tedesco, Bovaro del bernese, Golden Retrivier, Labrador, Border Colley, Setter irlandese, San bernardo, Springer Spaniel, Bassethound.
Una probabile origine di trasmissione ereditaria autosomica recessiva di queste forme sono sospettate nel Tervueren, Golden, Labrador, Beagle, Keeshound, Pastore alsaziano. La componente sessuale non sembra avere alcuna rilevanza.
Solitamente insorgono come singole crisi parziali complesse che tendono poi a generalizzare accompagnandosi a manifestazioni psicosomatiche; con il trascorrete del tempo tendono a ridursi gli intervalli di inter-ictus qualora non si intervenga con la terapia.
Viene sconsigliato di impiegare a scopo riproduttivo i soggetti che ne sono colpiti da epilessia primaria.
2. epilessia secondaria: può essere “sintomatica” quando conseguenza di una causa scatenante circostanziata e circostanziabile (es: lesione cerebrale, neoplasia, metastasi); si definisce “reattiva” quando conseguenza di una causa sistemica: metabolica, endocrina, tossica, infettiva o di altra natura
Nella maggior parte dei casi, come più volte sottolineato, nei nostri animali siamo abituati ad osservare crisi focali che evolvono in generalizzazioni secondarie, clinicamente si tratta di crisi motorie con interessamento muscolare bilaterale con accessi tonico-clonici della muscolatura.
Fasi della crisi epilettica
Vengono distinte nell’ambito della crisi stessa differenti fasi evolutive:
1. Fase pre-ictale
È la fase preliminare che precede la crisi vera e propria ed è quella che corrisponde all’ “Aura” rilevabile nell’uomo, in campo veterinario non viene evidenziata in modo altrettanto chiaro. Qualche proprietario potrà notare brevi mutamenti nel comportamento dell’animale, una agitazione improvvisa, una irrequietezza insolita, la tendenza a nascondersi, una assidua ricerca di sostegno, un bisogno di protezione, sguardo fisso, guaiti, paura e cosi via, non sempre questi fenomeni risultano non adeguatamente rilevati in corso di anamnesi generale.
L’Aura In campo umano si accompagna alla insorgenza di strane sensazioni soggettive, il termine adottato descrive chiaramente questo fenomeno impropriamente utilizzato da alcuni autori in Veterinaria, più corretto parlare di “fase pre-ictale” qualora presente.
2. Fase ictus
In essa potremo distinguere segni clinici caratteristici a partire dalle convulsioni, disturbi della coscienza, azioni involontarie, cambiamenti comportamentali.
Corrisponde alla fase sostenuta dalla crisi vera e propria differente nella durata temporale, può variare da 30 secondi a 2 minuti. Il più delle volte sovrastimata dal proprietario che a seguito di un coinvolgimento emotivo. La frequenza, così come la intensità potranno modificarsi nel corso del tempo.
Non è infrequente assistere alle crisi classiche tonico-cloniche con spasmi violenti della muscolatura corporea, perdita di coscienza, irrigidimento degli arti, atassia, caduta sul fianco. La fase tonica prevale nella fase di irrigidimento degli arti spesso con contemporaneo opistotono e digrignamento dei denti, atteggiamenti simil-tetanici, alterazioni delle funzioni autonome (midriasi, ipersalivazione, perdita involontaria di urine e feci).
Nei cani Brachicefali non devono essere sottovalutate difficoltà respiratorie dovuti alla convulsione della componente muscolare faringo-laringea.
Potrà seguire una fase clonica, tipico l’atteggiamento di pedalamento degli arti e qualora rilevabili movimenti masticatori a vuoto, altre volte gli arti anteriori potranno presentare la fase tonica (spastica) diversamente quelli posteriori la fase clonica (pedalamento).
La fase ictale potrebbe risultare piuttosto violenta ed intensa, potrebbero associarsi rotolamenti, tremori, sobbalzi del corpo, guaiti, pianti , urla ecc.. soprattutto nelle razze “Pet”.
3. Fase post-ictale
Segue la fase post-ictale di durata ed intensità variabile da pochi secondi fino a qualche giorno. Talvolta il paziente sembra recuperare rapidamente le condizioni di normalità, altre volte questa fase può perdurare a lungo ed esitare in uno stato di alterazione del sensorio, disorientamento soprattutto in pazienti che hanno manifestato crisi notturne o nelle prime ore del mattino, in tal caso il recupero funzionale richiederà più tempo.
Possibili esiti:
debolezza, stordimento, depressione, sonnolenza, stato stuporoso, permanenza di atteggiamenti stereotipati, amaurosi transitoria, midriasi, polifagia incontrollata, polidipsia, disorientamento, andatura compulsiva, sguardo fisso, paure vaghe, vocalizzazioni immotivate, cecità transitoria.
Gli animali che soffrono di crisi “a grappolo” nell’arco delle 24 ore potrebbero presentare questa fase decisamente più prolungata in termini temporali.
Inquadramento diagnostico
Con la esclusione delle epilessia idiopatiche o primaria (EI) le cui cause restano per ora non ancora definibili, è possibile adottare un sistema di classificazione delle ME in relazione alle affezioni o turbe che colpiscono il SNC attraverso un semplice metodo mnemonico che prevede un acronimo proposto dalla Università di Berna “VITAMIN D”:
1. Vascolari
2. Infiammatorie
3. Traumi
4. Anomalie congenite
5. Metaboliche
6. Idiopatiche
7. Neoplastiche
8. Degenerative
Vediamole brevemente:
1. Vascolari : ad esordio acuto e lateralizzate. Le malattie cerebrovascolari tendono a modificare la struttura e la architettura cellulare con alterazioni a carico della rete dei neurotrasmettitori (es: Glutamato), la presenza di emboli o trombi tendono ad impedire una corretta irrorazione delle strutture cerebrali superiori. Segnalate più frequentemente nel gatto, pensiamo ad emorragie traumatiche, fenomeni ischemici, intossicazione di veleni ad azione emorragipara, deficit coagulativi. Da segnalare la encefalopatia ischemica del gatto a seguito della occlusione della arteria cerebrale media, ancora la policitemia quale possibile causa di anossia cerebrale e conseguente trombosi. In generale quasi sempre secondarie ad affezioni sistemiche e diagnosticate con RMN. Da non sottovalutare la presenza di shunt porto sistemici.
2. Infiammatorie: possono essere multifocali e non lateralizzate. Spesso esordiscono con ipertermia e le caratteristiche della infiammazione. Tutte le cause primarie o secondarie infettive o non infettive o parassitarie possono provocare meningoencefaliti (GME- meningoencefalite granulomatosa) responsabili di crisi epilettiche. Esistono encefaliti specifiche come quelle di alcune razze come il Carlino o Yorkshire Terrier, oppure provocate da agenti infettivi come il Virus del Cimurro (Morbillivirus) o Neospora Caninum o Borrelliosi nel cane, il Toxoplasma o il Virus della FIP nel gatto ne sono validi esempi. Ancora malattie micotiche come Criptococcosi, Blastomicosi, ascessi da corpi estranei, da non sottovalutare eventuali edemi quali sequele di traumi, anomalie congenite. Da segnalare ancora la encefalite necrotizzante dello Yorkshire Terrier la encefalite nel Carlino e Maltese italiano o quella che colpisce il Pointer.
3. Traumatiche: in genere danno vita a crisi acute e non progressive, pensiamo a traumi cranici, commozioni cerebrali, il quadro clinico può risultare polimorfo.
4. Anomalie congenite ed ereditarie: esordio cronico solitamente non lateralizzate riscontrabili in cuccioli di poche settimane o mesi di vita. Possono essere soggetti a crisi epilettiche progressive a seguito di patologie metaboliche di natura ereditaria e a seguito di malformazioni congenite del sistema nervoso (idrocefalia, ipoplasie, lissencefalia, porencefalia, idromielia, siringomielia ecc..) e di altri apparati. È stata dimostrata una chiara componente ereditaria in alcune razze canine (Golden Retriever o Belga Tervueren) oppure nei Bassotti dove uno studio internazionale ha permesso di identificare un gene responsabile di una delle forme più gravi di epilessia conosciuta in campo umano conosciuta con il nome di malattia di Lafora o sindrome di Unverricht-Lundborg che è una patologia a carattere familiare in grado di produrre danni cerebrali progressivi fino alla morte dopo 10 anni. Sembra che la mutazione a carico del gene EPM2B impedendone il corretto funzionamento sia in grado di provocare tale sindrome che solitamente nei cani assume un carattere decisamente meno aggressivo.
5. Tossiche, metaboliche: esiti di ipossia neonatale, ingestione di sostanze tossiche , turbe ormonali. Tra le sostanze tossiche è bene citare: metalli pesanti (Fe, Ars, Pb, Zn), metaldeide (lumachicida o combustibile di piccole stufe), stricnina (pesticida), insetticidi organofosforici, glicole etilenico (antigelo), antibiotici amino glicosidici. Tra le possibili cause metaboliche scatenanti: ipoglicemia, insufficienza epatica o epatopatie, ipotiroidismo (cane anziano), ipertiroidismo (gatto), insufficienza renale, insufficienze pancreatiche, squilibri elettrolitici. Queste ultime sono le più complesse per la loro evoluzione non sempre facilmente definibile, piuttosto altalenante ed irregolare. Da non sottovalutare le carenze vitaminiche di Tiamina e le infestazioni parassitarie ed i disturbi cardiaci (aritmie).
6. Idiopatiche: rientrano in questa categoria le ME prive di possibile identificazione eziologica, rappresenta spesso una diagnosi per esclusione (Epilessia idiopatica).
7. Neoplasie: possono avere un esordio subacuto o cronico e lateralizzate. Esistono neoplasie primarie che coinvolgono le cellule del SNC come gli astrociti, gli oligodendrociti, le meningi, i plessi coroidei, pertanto potranno essere rappresentati da teratomi, meningiomi ( gatti o cani anziani di razzedolicocefale), gliomi (astrocitomi, oligodendrogliomi, glioblastomi multiformi in razze brachicefale) ependimomi, linfosarcomi, papillomi dei plessi corioidei oppure si tratta di neoplasie che colpiscono aree adiacenti al cervello come le cavità nasali, la scatola cranica o la muscolatura cranio-facciale. Ancora metastasi (tumore epatico, splenico, prostatico, adenocarcinoma mammario, emangiosarcomi, insulinomi, leiomiomi ecc..) o linfomi multicentrici. Le razze brachicefale sono maggiormente predisposti a neoplasie primarie.
8. Degenerative: solitamente a carattere cronico a lenta progressione, non lateralizzate. Più facile in cani anziani in genere con patologie correlate alla fase di invecchiamento o quale conseguenza di malattie metaboliche, neoplastiche o degenerative a carico del sistema nervoso come alcune forme di mielopatia degenerativa, ipomielinogenesi, leucodistrofie ecc..
Diagnosi
L’iter diagnostico spesso non sempre agevole ed altrettanto rapido, ci si deve orientare escludendo possibili cause strutturali intracraniche o extracraniche o affezioni di altra natura, unico modello che consente di formulare una diagnosi precisa al fine di escludere una epilessia primaria o idiopatica.
Abbiamo visto quanto sia importante raccogliere informazioni relative a genitori, fratelli, sorelle quindi legate alla familiarità sopratutto in quelle razze dove viene riconosciuta una elevata incidenza e predisposizione a forme ereditarie e congenite.
Il Veterinario deve procede seguendo un doveroso percorso semeiotico-clinico che parte attraverso una raccolta di elementi comuni quali: segnalamento, età del paziente, anamnesi recente e remota, esordio e numero delle crisi, eventuale durata e tipologia.
Un successivo esame clinico accurato comprensivo di accertamenti diagnostici permette di verificare se l’origine delle crisi epilettiche (ME) possa essere di natura tossica o metabolico- endocrina o traumatica.
Si procede con un esame neurologico al fine di accertare la presenza o meno di eventuali deficit cognitivi, propriocettivi o sensoriali addirittura preferibile in corso di crisi per meglio comprendere il livello di compromissione dei circuiti neuronali talamo corticali.
La presenza di segni focali o asimmetrici suggerisce una possibile affezione strutturale di origine vascolare, infiammatoria, infettiva, neoplastica, traumatica, non escludendo la possibilità di una anomalia congenita.
I principali segni causali sono da ricercarsi in una alterazione dello stato di vigilanza del paziente o in turbe comportamentali, deficit della reazione posturale, deficit alla risposta di minaccia o alla stimolazione nasale che sono chiari ed immediati segnali di corretta funzionalità dei circuiti neuronali subcorticali.
La presenza di comportamenti anomali o stereotipati precludono ad un coinvolgimento dei circuiti limbici e segnalano la presenza di lesioni multifocali con tutte le conseguenze psico emotive che esse comportano.
Esami complementari
Al fine di identificare una diagnosi eziologica precisa si potrà procedere ad una serie di accertamenti diagnostici strumentali da affiancare a quelli tradizionali partendo preferibilmente da quelli meno invasivi.
1. Analisi emocromocitometrico
2. Analisi emobiochimico
3. Analisi urinaria
4. Analisi ormonali (pancreatica, tiroidea)
5. Analisi liquido cefalo-rachidiano (sedazione generale)
6. EEG (non agevole negli animali)
7. RX
8. RMN (Risonanza magnetica nucleare – sedazione generale)
9. TC (Tomografia assiale computerizzata – sedazione generale)
Al fine di escludere eventuali cause metaboliche o tossico-infettive sarà bene considerare ulteriormente: formula leucocitaria, bilancio biochimico (glicemia, calcemia, albuminemia, acidi biliari, ALT, acidi biliari pre e postprandiali, colesterolo, elettroliti, trigliceridi, funzionalità tiroidea, rapporto insulina/glucosio, dosaggio del Piombo, sierologico o PCR per Toxoplasma, Neospora, Cimurro, FIP.
In linea generale questi esami complementari risultano indicati in quei pazienti che presentano crisi focali nel periodo giovanile in età prepubere oppure oltre il sesto anno di vita refrattari ai tradizionali trattamenti farmacologici anticonvulsivi.
Terapia tradizionale
Lo scopo ideale della terapia è quello di eliminare completamente gli attacchi epilettici e evitare gli effetti collaterali dei farmaci. Ovviamente è abbastanza utopico. L’approccio medico tradizionale si prefigge come obiettivo di ridurre la frequenza e la gravità degli attacchi portandoli ad un livello tale da non compromettere la qualità della vita dell’animale e dei proprietari, evitando per quanto possibile gli effetti collaterali delle sostanze utilizzate.
Quando si è verificato un unico attacco oppure più attacchi ma separati da lunghi intervalli di tempo solitamente si preferisce non intervenire farmacologicamente. La terapia medica è indicata per quei pazienti con manifestazioni frequenti, che tendono ad intensificarsi, con crisi a grappolo o con malattie sottostanti ingravescenti responsabili della patologia.
Prima di iniziare la terapia, il cliente deve capire la patologia che sta affrontando e l’impegno che essa richiede, a livello emotivo, di tempo e anche economico. Se il proprietario non si impegna, difficilmente si possono ottenere buoni risultati. Veterinario e cliente devono decidere insieme quando iniziare la terapia e devono essere chiari a tutti i benefici e i rischi dei trattamenti.
Proprietario
Il proprietario ha un ruolo fondamentale: deve essere informato sulla patologia e deve comprendere lo scopo e i pericoli della terapia. Lievi effetti collaterali sono normali all’inizio della terapia farmacologica. Spesso scompaiono o diminuiscono dopo poche settimane di trattamento. Se il cliente ne è già al corrente, ci sono meno probabilità che si allarmi e che interrompa la terapia.
E’ fondamentale la costanza: i farmaci vanno somministrati in orario e il proprietario deve sapere cosa fare in caso di dimenticanza di una dose (generalmente la dose va somministrata quando ci si accorge di averla dimenticata e la dose successiva va data in orario). Una sospensione improvvisa della terapia è pericolosa, può scatenare attacchi e va evitata in tutti i modi.
E’ utile che i clienti tengano un diario delle terapie e degli attacchi (con durata e modalità) per valutare l’andamento della terapia.
Bibliografia
Thomas W. B. “Idiopathic epilepsy in dogs and cats”
Terapia Farmacologica
Barbiturici
I barbiturici sono generalmente considerati dei depressori generali del sistema nervoso centrale, benché possano evocare tutti i tipi di alterazioni del SNC dall’eccitazione paradossa al coma profondo e morte.
I barbiturici inibiscono il rilascio dell’aceticolina, dell’adrenalina, del glutamato e hanno effetti sul GABA. Ad alti dosaggi anestetici inibiscono l’assunzione di calcio da parte delle terminazioni nervose. Il grado di depressione prodotto dipende dalla dose, dalla farmacocinetica, dalla via di somministrazione e dalla specie animale in questione. I barbiturici deprimono la corteccia sensoriale, riducono l’attività motoria e producono sedazione a bassi dosaggi. Alcuni barbiturici (come il fenobarbitale) sono ottimi anticonvulsivanti poiché la depressione dell’attività motoria si esplica senza provocare un’eccessiva sedazione. I barbiturici non possiedono alcuna attività analgesica intrinseca.
Nella maggior parte delle specie i barbiturici provocano una depressione respiratoria dose-dipendente, benché in alcune si verifichi una leggera stimolazione del respiro. Ai dosaggi sedativo-ipntoici la depressione del respiro è simile a quella del normale sonno fisiologico. All’aumentare del dosaggio si assiste ad una progressiva riduzione della frequenza, della profondità e del volume respiratorio.
I gatti sono particolarmente sensibili a tali effetti depressori e inoltre mostrano spesso broncospasmi. Oltre al blocco cardiaco che si evidenzia a dosi eutanasiche, i barbiturici evidenziano altri effetti cardiovascolari quali tachicardia, riduzione della contrattilità miocardica, della gittata cardiaca, della pressione arteriosa media e delle resistenze vascolari periferiche. La somministrazione di barbiturici riduce la sensibilità della placca motrice all’aceticolina, favorendo così il rilassamento dei muscoli scheletrici.
Queste sostanze non hanno alcun effetto diretto sui reni, ma in caso di sovradosaggio l’ipotensione che ne consegue può indurre un grave stato di sofferenza renale.
Bromuro
Si può utilizzare all’inizio della terapia o aggiungerlo successivamente se il fenobarbitale da solo non assicura un adeguato controllo delle crisi. Viene filtrato liberamente dai glomeruli e riassorbito dal rene in competizione con il cloro. A causa di questo riassorbimento importante, il tempo di emivita di eliminazione nel cani è basso, dai 21 ai 24 giorni e lo staedy state si raggiunge in 2,5-3 mesi.
Viene somministrato solitamente come bromuro di potassio o sodio bromuro, in soluzioni, capsule o tavolette. Non c’è differenza di efficacia tra il sale di potassio e quello di sodio, anche se solitamente viene utilizzato il bromuro di potassio (quello di sodio infatti non va utilizzato in patologie come ipoadrenocorticismo).
La dose di partenza del bromuro di potassio è 20-30 mg/kg al giorno, da somministrare con il cibo (17-26 mg/Kg per il sodio bromuro). La dose si aggiusta a seconda degli effetti clinici e del monitoraggio terapeutico. Il range approsimativamente è tra 1 e 2 mg/ml quando usato con il fenobarbitale, da 1 a 3 mg/ml se usato da solo. Solitamente le misurazioni si fanno da 1 a 3 mesi dopo l’inizio della terapia. Le concentrazioni ad un mese saranno circa il 50 % del livello allo stady state. Il prelievo può essere fatto in qualunque momento perché non si sono fluttuazioni durante la giornata.
Si può utilizzare una dose di carico per ottenere più rapidamente una maggior concentrazione sierica, ad esempio quando il fenobarbitale deve essere tolto visti gli effetti collaterali.
Quando il bromuro è aggiunto al fenobarbitale per migliorare il controllo delle crisi, la dose di fenobarbitale viene mantenuta all’inizio. Dopo tre mesi, se gli attacchi sono controllati e la concentrazione di brouro sierica è almeno 1,5 mg/ml, è possibile diminuire il fenobarbitale di circa il 25% ogni 2 o 4 settimane. Se le crisi diventano più frequenti una volta tolto il fenobarbitale può essere riproposta una terapia con più farmaci. Lo stesso meccanismo si applica anche quando si vuole passare al bromuro per gli effetti tossici del fenobarbitale.
Poiché il bromuro compete con il cloro nell’eliminazione renale, un alto consumo di cloro aumenta l’eliminazione del bromuro, e questo porta ad un aumento della dose richiesta. Per questo motivo, la dieta non deve essere cambiata durante il trattamento. Nei cani che mangiano cibi con molto cloro, la concentrazione sierica del bromuro deve essere controllata.
L’insufficienza renale diminuisce l’eliminazione del bromuro, così nei cani con isostenuria persistente o azotemia, la dose iniziale di bromuro deve essere dimezzata e va controllata la concentrazione sierica per evitare dosi tossiche.
Gli effetti collaterali del bromuro sono sedazione, atassia, debolezza, poliuria, polidpsia e polifagia. Sintomi meno comuni sono rigidità degli arti che possono mimare problemi ortopedici, irritabilità, irrequietezza, irritazioni cutanee con prurito e tosse persistente. Può presentarsi vomito, probabilmente dovuto all’irritazione gastrica diretta de sale. Somministrare la dose con il cibo, dividendola in due o più dosi e usare il sodio bromuro invece del bromuro di potassio può diminuire il vomito.
L’esperienza clinica ha dimostrato che il bromuro da solo o in combinazione con il fenobarbitale può aumentare il rischio di pancreatite.
La tossicità da bromuro (bromismo) può svilupparsi a concentrazioni sieriche vicine o al di sopra il massimo dosaggio consigliato ed è più comune con un inadeguato monitoraggio terapeutico. Segni di bromismo includono coma, cecità, comportamenti inapprorpiati, atassia, paraparesi, tetraparesi con riflessi spinali normali o diminuiti, disfagia e megaesofago. I casi lievi vengono trattati con la riduzione della dose di bromuro, quelli più gravi necessitano di un’interruzione temporanea della terapia e utilizzo di diuretici.
Il bromuro non è sicuro nei gatti poiché aumenta il rischio di polmoniti.
Topiramato
Possibili effetti collaterali del topiramato:
Tutti i farmaci possono causare effetti indesiderati, ma molte persone hanno minori effetti collaterali. Verificate con il proprio medico se uno qualsiasi di questi effetti indesiderati comuni persistono o diventano fastidiosi:
Costipazione, diarrea, capogiri, sonnolenza, secchezza delle fauci, vampate di calore, cefalea, perdita di appetito, nausea, nervosismo, sensazione di intorpidimento o formicolio della pelle, mal di stomaco o turbato; sintomi di infezioni delle alte vie respiratorie (ad esempio, tosse, mal di gola lieve, esecuzione o naso chiuso, starnuti), alterazioni del gusto, stanchezza, disturbi del sonno, debolezza, perdita di peso.
Rivolgetevi ad un medico immediatamente se uno qualsiasi di questi effetti indesiderati gravi si verificano:
Gravi reazioni allergiche (rash, orticaria, prurito, difficoltà di respiro, senso di oppressione al petto, gonfiore della bocca, viso, labbra o lingua), sangue nelle urine, dolore alle ossa, dolore toracico, confusione, coordinamento diminuito, diminuzione della sudorazione; diminuita o minzione dolorosa, visione doppia, diminuzione improvvisa della vista, altri cambiamenti della visione (ad esempio, visione offuscata), dolore o arrossamento degli occhi, battito cardiaco accelerato o irregolare, febbre, brividi, tosse persistente o mal di gola, perdita di coscienza, di memoria problemi, i cambiamenti mestruali, dolori muscolari o articolari, crampi o debolezza mentale o cambiamenti di umore nuovi o peggioramento (ad esempio, aggressività, agitazione, ansia, depressione, sensazione esagerata di benessere, ostilità, impulsività, incapacità a stare fermo, irritabilità , attacchi di panico, irrequietezza); rapido, respirazione superficiale, rossa, gonfia, vesciche o desquamazione della pelle, ronzio nelle orecchie, sonnolenza grave o persistente, perdita grave o persistente di appetito, stomaco grave, laterale, o mal di schiena, una perdita significativa di peso, lentezza, problemi di linguaggio, stupore, pensieri suicidari o di azioni, tremore, difficoltà nel pensare e di concentrazione, difficoltà nel camminare, inusuali lividi o sanguinamento, movimenti degli occhi insoliti, stanchezza o debolezza insolite, vomito.
Questo non è un elenco completo degli effetti indesiderati che possono verificarsi. Se avete domande circa gli effetti collaterali, contattate il medico. Chiamatelo anche per un consiglio medico circa gli effetti collaterali.
Effetti collaterali nel dettaglio
Alcuni effetti collaterali del topiramato non possono essere segnalati. Consultate sempre il proprio medico o uno specialista sanitario per un consiglio specialistico.
Zonisamide
E’ un derivato della sulfonamide che si distingue chimicamente dagli altri farmaci utilizzati normalmente nell’epilessia. Blocca i canali T del calcio, viene metabolizzato dagli enzimi microsomiali epatici e ha un tempo di emivita di eliminazione di circa 15 ore nel cane e il raggiungimento dello staedy state in 3-4 giorni. Il farmaco è ben tollerato ed ha come effetto collaterale più comune una sedazione transitoria.
Una dose di carico di zonisamide migliora il controllo delle crisi nel 80-90% dei cani refrattari ad altri trattamenti. Basandosi su esperienza clinica, la zonisamide è efficace come monoterapia ed è una buona scelta per iniziare la terapia quando il cliente vuole minimizzare gli effetti collaterali di bromuro e fenobarbitale. Non ha effetti sugli enzimi epatici ma il suo tempo di eliminazione viene ridotto dall’induzione enzimatica indotta da sostanze come il fenobarbitale.
In realtà questo farmaco è utilizzato in Giappone e Stati Uniti ma meno in Europa, dove il suo sviluppo ha subito un rallentamento a causa degli effetti collaterali che ha manifestato durante gli studi preclinici (nefrolitiasi).
Nel gatto il tempo di emivita di eliminazione è di 35 ore.
Levetiracetam
E’ efficace nelle crisi epilettiche del cane e presenta pochi effetti collaterali. Circa il 70-90% della dose somministrata viene eliminata senza modifiche con le urine. Il tempo di emivita nel cane è di 3-4 ore ma il farmaco sembra esercitare effetti antiepliettici più a lungo. Nei cani che assumono anche fenobarbitale, l’emivita si accorcia e si aggira intorno a 1,7 ore. Un possibile ma non comune effetto collaterale è una transitoria sedazione.
L’esperienza clinica indica che il levetiracetam è efficace come unica terapia e vista la maneggevolezza del farmaco può essere utilizzato anche come prima scelta. E’ anche un efficace terapia aggiuntiva. Tuttavia, recenti informazioni sulla farmacocinetica suggeriscono che una dose più alta può essere ottimale quando si usa in associazione con il fenobarbitale.
Il monitoraggio terapeutico è consigliabile ma non necessario, visto l’alto margine di sicurezza e il fatto che non c’è una correlazione chiara tra concentrazione sierica e effetti clinici.
Nei gatti l’emivita si raggiunge in 3 ore. Il farmaco è ben tollerato con poca sedazione transitoria e diminuzione dell’appetito.
Gabapentin
Il maggior vantaggio del farmaco nell’uomo è che viene escreto immodificato dai reni e non è metabolizzato dal fegato. Nei cani tuttavia il gabapentin è parzialmente metabolizzato e l’emivita è di 3-4 ore. Aumenta il controllo delle crisi in soggetti trattati con fenobarbitale e/o bromuro. I più comuni effetti collaterali sono leggera sedazione e atassia.
Epilessia felina
L’epilessia felina viene trattata con farmaci antiepilettici, che consentono di ottenere un controllo delle crisi da discreto a buono. Un piccolo sottogruppo di pazienti felini con epilessia refrattaria ai farmaci, tuttavia, richiede delle terapie alternative.
Gli autori di questa review descrivono la presentazione clinica dell’epilessia felina e le patologie ad essa correlate. Vengono inoltre descritte le indicazioni e le tipologie di procedure neurochirurgiche, tra cui lesionectomia, lobectomia temporale con ippocampectomia e callosotomia del corpo calloso, nei gatti con differenti tipi di epilessia.
Il 50% dei gatti con crisi epilettiche evidenziano un’epilessia strutturale