Leucemia virale Felina

Eziologia

Eziologia

La leucemia virale felina è una malattia infettiva causata da un virus appartenente alla famiglia Retroviridae, genere Alpharetrovirus.

Questo virus fu stato isolato per la prima volta nel 1964 (Jarret e al.) esuccessivamente venne dimostrato che era il responsabile della trasmissione di alcune forme di neoplasie linfoidi nel gatto.

Come tutti i Retrovirus il FeLV è capace di integrare il suo DNA con quello delle cellule ospiti rimanendo “latente” per periodi più o meno lunghi di tempo.

Proprio questa capacità è il principale fattore responsabile della lunga persistenza del virus stesso nell’organismo dopo l’infezione.

 

Ad oggi sono stati isolati 3 sottogruppi distinti del FeLV: A, B e C.

Il sottogruppo A, isolato più frequentemente, è il tipo meno patogeno e responsabile della trasmissione orizzontale della malattia.

I sottogruppi B e C sono meno frequenti e compaiono improvvisamente nei gatti precedentemente infettati dal sottogruppo A.

Sembrano essere i principali responsabili della maggior parte delle sindromi cliniche associate all’infezione da FeLV.

In particolare il sottogruppo B sembra essere la causa dell’immunosoppressione e dell’evoluzione maligna della patologia, mentre il sottogruppo C provoca una grave forma di anemia non rigenerativa.

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Sintomatologia

Diversi fattori influenzano l’andamento clinico della malattia nei gatti colpiti da FeLV;

molto importante è l’età al momento dell’infezione:

la sensibilità verso di questa è infatti maggiore nei soggetti giovani e, sebbene si trovino individui positivi di tutte le età, la frequenza dell’infezione diminuisce con l’aumentare dell’età.

Quando inoltre vengono infettati i gatti più anziani, questi mostrano sintomi molto più lievi e rimangono apparentemente in buona salute per periodi di tempo più lunghi.

Come è stato precedentemente sottolineato, altri fattori importanti sono il ceppo virale, la carica infettante e la durata dell’esposizione e, soprattutto, lo stato immunitario del gatto.

 

In generale i quadri clinici riconducibili all’infezione da FeLV sono estremamente variabili;

inizialmente il gatto può presentare febbre, ottundimento del sensorio, diarrea, leucopenia e anche una linfoadenopatia generalizzata a volte così imponente da far pensare a un linfoma.

A volte però queste manifestazioni non sono così marcate e possono passare inosservate.

Successivamente, di solito nell’arco di 3 anni dal momento dell’infezione, compaiono le patologie più tipicamente associate al virus.

Queste patologie, diverse dal punto di vista clinico, sono comunque mortali, in un lasso di tempo variabile, per circa il 70% dei soggetti.

Le forme principali sono: forme linfoidi maligne, anemia non rigenerativa, anemia rigenerativa, sidrome “simil-panleucopenica”, varie malattie legate all’immunosoppressione indotta dal virus e varie patologie immunomediate.

Per quanto riguarda in particolare le forme linfoidi maligne è necessario sottolineare che i gatti positivi al FeLV hanno un rischio circa 60 volte maggiore di quelli non infettati di sviluppare un lifoma.

Il linfoma non è però una diretta conseguenza dell’azione virale; sembrerebbe invece che il processo di replicazione virale possa provocare mutazioni del DNA della cellula ospite con successiva alterazione dei meccanismi di controllo del ciclo cellulare e quindi, in ultima analisi, comparsa di cloni cellulari a rapida replicazione.

La forma tumorale più frequentemente diagnosticata in corso di infezione da FeLV è il linfoma timico spesso associato a versamento pleurico. Frequenti anche le forme multicentriche.

Meno comunemente vengono diagnosticate anche forme renali spinali e atipiche, mentre il linfoma intestinale è quello meno rappresentato.

 

L’anemia è un altro sintomo clinico importante e molto frequente in corso di infezione da FeLV;

è causata dall’infiltrazione primaria  delle cellule totipotenti del midollo osseo e delle cellule stromali che ne costituiscono il supporto vitale da parte del virus e rappresenta una risposta non specifica presente in tutte le malattie croniche.

Tale anemia è spesso di tipo non rigenerativo: si tratta di una forma di aplasia pura delle cellule rosse caratterizzata da una marcata deplezione e arresto di maturazione dei precursori dei globuli ossi a livello di midollo osseo.

Più raramente può comparire un’anemia di tipo rigenerativo associata in genere ad una contemporanea infezione da Haemobartonella felis o ad anemia emolitica autoimmune.

I gatti infettati dal FeLV sono infatti spesso soggetti a forme patologiche immuno-mediate: in seguito alla eccessiva e caotica risposta immunitaria indotta dal virus si possono avere anemia emolitica, nefrite glomerulare, febbre, etc…

Si può assistere inoltre ad una “sindrome simil-panleucopenica” sovrapponibile, dal punto di vista clinico, alla parvovirosi felina equindi caratterizzata da panleucopenia ed enterite.

Infine si ricordano le infezioni secondarie legate all’immunodepressione a carico soprattutto dell’apparato respiratorio, urinario e gastroenterico. In particolare le stomatiti ulcero-proliferative sono le forme patologiche che più frequentemente si osservano nei gatti con infezione cronica. Spesso in questi casi viene isolato anche il Calicivirus che, sebbene la reale eziologia della sindrome sia ancora oggi poco chiara, rappresenta certamente un importante fattore co-infettivo..

Queste stomatiti sono generalmente molto dolorose e impediscono ai gatti di alimentarsi; iniziano nelle fauci e progrediscono rostralmente, causando spesso anche la perdita dei denti.

Altre infezioni comunemente associate a FeLV sono l’emobartonellosi e la FIP (peritonite infettiva felina). Abbastanza frequente è anche la coinfezione FIV-FeLV, soprattutto nei gatti randagi.

È necessario però ricordare che, anche se il FeLV causa un abbassamento delle difese immunitarie,  non necessariamente tutte le infezioni concomitanti sono effettivamente dovute  all’azione del virus stesso.

Inoltre, dal punto di vista clinico, è fondamentale capire che molti dei sintomi presenti in queste sindromi sono curabili, anche se a volte è necessario un approccio terapeutico più aggressivo e i risultati sono meno duraturi nel tempo.

 

Per quanto riguarda le alterazioni emato-chimiche, l’unica alterazione presente, almeno inizialmente, da collegare direttamente alla positività al virus, è una iperproteinemia causata sostanzialmente all’aumento delle gammaglobuline, con picco policlonale.

Epidemiologia

L‘infezione da FeLV nel gatto domestico è ubiquitaria. Come verrà meglio specificato in seguito, il virus, in seguito al contatto, progredisce attraverso vari tessuti ed è la capacità del sistema immunitario di arrestare o meno questa progressione che determina l’esito finale della malattia.

La trasmissione avviene, sia per via verticale che orizzontale, tra gatti sani e individui che eliminano attivamente il virus. Perché questo avvenga è però necessario che ci sia uno stretto e prolungato contatto tra i soggetti stessi.

Il FeLV è infatti un virus molto labile nell’ambiente esterno; generalmente sopravvive solo qualche ora ed è facilmente distrutto dagli agenti atmosferici e dalla normale disinfezione degli ambienti domestici.

Quindi, anche se la maggior parte dei gatti all’interno delle diverse popolazioni feline viene a contatto con il virus, solo una piccola parte di essi diventa viremica in modo persistente.

Questo è causato non solo dalla particolare labilità del virus nell’ambiente esterno, ma anche la necessità di un’elevata carica virale affinché si sviluppi l’infezione, la resistenza naturale di molti gatti correlata all’età e infine la capacità del sistema immunitario del singolo individuo di far fronte all’infezione.

Patogenesi

Trasmissione orizzontale: il FeLV viene eliminato abbondantemente attraverso liquidi organici infetti, soprattutto saliva, urina e altre secrezioni. Per questo la condivisione delle ciotole e delle lettiere, la tolettatura reciproca, i morsi durante le lotte, etc…sono i fattori che contribuiscono maggiormente alla diffusione dell’infezione.

Trasmissione verticale: le madri infette possono trasmettere l’infezione ai cuccioli sia per via intrauterina prima della nascita, sia tramite il latte dopo la nascita.

In seguito all’infezione che, come detto precedentemente avviene spesso per via oronasale, il virus (si?) replica nei tessuti linfoidi che drenano la sede di esposizione (tonsille e linfonodi faringei in caso i contatto oronasale).

Successivamente viene infettato un piccolo numero di linfociti e monociti circolanti e poi la replicazione viene amplificata a livello di milza, nei vari linfonodi e nel GALT (tessuto linfoide associato all’intestino).

Il virus si distribuisce poi alla mucosa respiratoria, alle ghiandole salivari e al midollo osseo. Qui

vengono prodotti leucociti e piastrine infette che entrano nel torrente circolatorio.

La durata del processo si aggira tra le due e le quattro settimane.

I possibili esiti dell’esposizione al FeLV, sono quindi quattro:

  • Virus-neutralizzazione: il gatto sviluppa una forte risposta immunitaria e raggiunge una sicura immunizzazione che lo rende resistente alle future infezioni a tempo indeterminato. Si assiste quindi ad una viremia transitoria che regredisce fino all’estinzione dell’infezione.
  • Viremia persistente: il sistema immunitario del gatto non è in grado di contrastare efficacemente il virus. Si assiste quindi ad una progressione dell’infezione associata a viremia persistente.
  • Latenza: il gatto non sviluppa l’immunità, ma neppure una viremia persistente: il DNA del gatto (del gatto o del virus?) si “nasconde”, integrandosi al genoma felino, ma non si ha alcuna replicazione del virus.

Si ha dunque una viremia transitoria con successiva sua regressione e infezione latente: il virus rimane “nascosto” a livello midollare.

Le infezioni latenti possono riattivarsi spontaneamente o in seguito a fenomeni di immunosoppressione, dando luogo a una nuova fase viremica. Con il passare del tempo  è tuttavia sempre più difficile che le infezioni latenti si riattivino; questo stadio transitorio, che dura al massimo 3 anni, evolve infine verso la virus-neutralizzazione.

  • Portatori immuni: l’intero virus viene sequestrato nel tessuto epiteliale, dove replica, senza però poter lasciare le cellule a causa della produzione di anticorpi.

Diagnosi

Il virus della leucemia felina, una volta infettato l’ospite, codifica per 3 maggiori gruppi di proteine: GAG (Antigeni Gruppo Specifici), POL (Trascrittasi Inversa) e ENV (Envelope).

Una delle proteine appartenente al gruppo degli Antigeni Gruppo Specifici, la p27, viene riversata in elevate quantità nel sangue e nel citoplasma delle cellule dei gatti infetti. Per questo motivo i test diagnostici utilizzati più frequentemente si basano sull’individuazione di questa proteina.

 

Il primo test che fu utilizzato per la diagnosi dell’infezione da FeLV è l’IFI (immunofluorescenza indiretta).Successivamente venne messa a punto un’altra tecnica, l’ELISA, di più rapida e semplice esecuzione, tanto da poter essere utilizzata anche direttamente in ambulatorio (per esempio i moderni snaps che si utilizzano di routine in quasi tutti gli ambulatori utilizzano proprio la tecnica ELISA).

 

Entrambi gli esami rilevano la proteina virale p27, la  differenza tra loro sta nel fatto che il test ELISA rileva la presenza di antigene liberamente circolante nel sangue, l’IFI invece l’antigene presente all’interno dei leucociti e delle piastrine (di origine midollare).

 

A causa di questa differenza è possibile ottenere risultati diversi eseguendo entrambi i test allo stesso gatto; la positività al test ELISA  indica la presenza del virus libero nel sangue, in maniera transitoria o permanente, mentre una positività all’IFI indica che il midollo è stato ormai colonizzato dal virus stesso. In quest’ultimo caso la maggior parte dei gatti rimane infetta per tutta la vita.

 

Il test ELISA è circa 100 volte più sensibile dell’IFI e può individuare l’infezione qualche settimana prima dell’IFI (poiché il FeLV replica nel tessuto linfoide e in altre sedi prima di raggiungere il midollo osseo).

 

Alcuni gatti però, come è stato detto nei paragrafi precedenti, sono capaci di bloccare l’infezione precocemente, per tornare quindi ad uno stadio di negatività al test ELISA in qualche settimana o mese (generalmente 4-6 settimane).

 

È quindi consigliabile, in seguito ad un risultato positivo a questo tipo di test, ripetere l’esame dopo 6-8 settimane. Raramente il test ELISA dà origine a falsi-negativi, mentre possono esserci falsi- positivi, causati dalla presenza di anticorpi anti-immunoglobuline di topo che interferiscono con la corretta lettura del test (anche questa evenienza è peraltro piuttosto rara).

 

Le metodiche descritte precedentemente hanno un scarsa sensibilità nel rilevare basse quantità di antigene circolante (proteina p27) e eventuale presenza di virus latente.

Esistono però anche infezioni latenti o infezioni cosiddette “atipiche”, caratterizzate a uno scarso livello di antigenemia che è inoltre anche intermittente, in cui l’eliminazione del virus è occasionale.

In questi casi, qualora si sospetti un’infezione, è possibile ricorrere alla Polymerase Chain Reaction (PCR).

Questo esame, al contrario dei precedenti, mette in evidenza, amplificandole, le sequenze degli acidi nucleici virali (RNA o DNA), invece di rilevare la presenza dell’antigene virale p27, a partire da sangue e da tessuti.

La PCR risulta quindi una metodica molto valida sia per dirimere i casi discordanti sia per evidenziare la presenza del virus a partire da tessuti oculari o nasali.

È inoltre un valido ausilio anche per quei soggetti non viremici ma che sviluppano tumori in seguito all’infezione, con successiva eliminazione del virus o suo sequestro in vari distretti dell’organismo.

La PCR viene utilizzata frequentemente per diagnosticare infezioni da HIV nell’uomo e da FIV nel gatto (vedi articolo sull’immunodeficienza felina).

Terapia

Nei pazienti affetti da FeLV è necessario trattare, dal punto di vista terapeutico, sia l’infezione stessa che tutte le diverse sindromi cliniche che l’accompagnano.

Le patologie secondarie associate vengono trattate allo stesso modo sia negli individui infetti che in quelli non infetti, ricordando che non necessariamente una determinata malattia in un gatto FeLV positivo è da correlare all’infezione.

Per quanto riguarda il trattamento dell’infezione stessa, ancora oggi non ci sono terapie risolutive.

Come già sottolineato un’arma molto è efficace  la prevenzione: ad un gatto positivo all’infezione non dovrebbe essere permesso il contatto con altri gatti, sia per non diffondere ulteriormente l’infezione, sia per impedire che venga in contatto con altri agenti patogeni trasmessi da altri gatti.

 

Oltre a questo esistono diversi protocolli che sfruttano tutti l’utilizzo di immunomodulatori che stimolano la funzionalità immunitaria compromessa, permettendo al gatto di diminuire la carica virale infettante.

Tra i principali immunomodulatori si ricordano:

  • L’acemannano, un carboidrato complesso derivato da una pianta, l’aloe vera.
  • Il propionibacterium acnes (ImmunoRegulin), prodotto di origine batterica inattivato
  • L’interferone alfa umano (HIFN-alfa) a basse dosi
  • Proteine di Staphylococcus A (SPA), un prodotto batterico purificato
  • PIND-ORF derivato da un virus inattivato di parapox ovis

 

Esistono anche terapie antivirali da associare a quelle con immunomodulatori.

I principali farmaci antivirali sono:

  • L’AZT (Retrovir) utilizzato sia nell’infezione da FeLV che da FIV. È un inibitore selettivo della trascrittasi inversa virale, in grado di diminuire temporaneamente l’escrezione virale senza però eliminare l’infezione.
  • L’IFN-alfa2 è un altro interferone che ha mostrato un duplice effetto a seconda del dosaggio: ad alte dosi è un antivirale, mentre a quelle basse un immunomodulatore.
  • L’interferone felino omega (IFN-w) ha un effetto antivirale nei cani e nei gatti molto più marcato di quello umano.

Problemi zoonosici

Nel corso degli anni sono stati effettuati diversi studi sulla possibilità di trasmissione delle infezioni da Retrovirus felini (FIV e FeLV) dai gatti all’uomo.

Particolare preoccupazione destavano i sottotipi B e C del FeLV per la loro capacità di replicare nelle linee cellulari umane.

A tutt’oggi non si conoscono persone infettate da uno qualsiasi dei tre retrovirus felini.

Anche un ultimo studio, condotto su 204 veterinari e altri operatori potenzialmente a rischio di contagio, ha dato risultati negativi.

Si può quindi affermare che, in base ai dati attuali, non c’è alcun rischio di infezione dell’uomo da parte dei retrovirus felini.