FEGATO

MALATTIE INFIAMMATORIE EPATICHE: EPATITI

MALATTIE INFIAMMATORIE EPATICHE: EPATITI

EPATITI

Le malattie infiammatorie del fegato possono essere di natura tossica (agenti chimico- fisici), infettiva, parassitaria, virale, batterica, ereditaria a carattere familiare (alcune razze sono predisposte alle malattie epatiche in generale), etc…

Bibliografia: Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Colangiti/colangioepatiti

Le malattie infiammatorie che coinvolgono il parenchima epatocellulare (epatiti) sono più frequenti nel cane rispetto al gatto dove le epatopatie sono in prevalenza biliari (complesso colangite/colangioepatite).

Definizione:

Il termine colangite indica infiammazioni a carico del tratto biliare che generalmente si estendono anche alle cellule epatiche periportali da cui il nome di colangioepatiti.

Sintomatologia:

Colangiti e colangioepatiti hanno una sintomatologia aspecifica, i gatti portati a visita spesso presentano anoressia, vomito, diarrea, disidratazione, dimagrimento, epatomegalia, ittero ed aumento dei livelli sierici degli enzimi epatici; i sintomi sono il più delle volte cronici e non vi sono particolari predisposizioni di sesso, razza o età, fatta eccezione per la forma linfocitaria che sembra colpire più frequentemente i gatti Persiani in età avanzata e la forma suppurativa che sembra colpire soggetti più giovani.

La colangite suppurativa o neutrofila è la forma più comune nel gatto; è causata prevalentemente dall’invasione per via ascendente (dall’intestino) di enterobatteri ed in secondo luogo da virus, tossine, farmaci, etc…

La colangite linfocitaria o non suppurativa anche detta colangite neutrofila cronica è la forma evolutiva della colangite suppurativa e si distingue per la presenza di infiltrato infiammatorio composto da neutrofili, linfociti e plasmacellule.

Gatti affetti da colangite neutrofila spesso presentano anche lipidosi epatica secondaria a fenomeni di anoressia e perdita di peso, pancreatite cronica ed Inflammatory bowel disease, mentre soggetti che sviluppano la forma cronica possono presentare quadri di cirrosi biliare ed ascite.

Diagnosi:

Colangiti e colangioepatiti vanno in diagnosi differenziale con altre epatopatie (lipidosi epatica, FIP o peritonite infettiva felina, neoplasie epatiche) e dovrebbero essere prese in considerazione in soggetti portati a visita con ittero di natura non emolitica.

Attraverso l’esame bioptico è possibile formulare una diagnosi di certezza, le analisi di laboratorio sono compatibili con fenomeni di colestasi e l’ecografia può mettere in evidenza alterazioni a carico del sistema biliare.  La biopsia epatica può essere seguita dall’esame colturale della bile per l’antibiogramma.

Terapia:

Il trattamento antibiotico (ampicillina e metronidazolo) è indicato in caso di forme suppurative, mentre il trattamento a base di corticosteroidi (prednisone) è d’elezione per le forme linfocitarie.

Il controllo della dieta somministrando alimenti a basso contenuto proteico è utile per non sovraccaricare ulteriormente il fegato soprattutto quando sono presenti segni di encefalopatia epatica.

Bibliografia: Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Epatite cronica attiva

Definizione:

L’epatite cronica è una sindrome che perdura da almeno 6 mesi caratterizzata da necrosi ed infiammazione, generalmente linfoplasmocitaria, che evolve prima in senso fibrotico e successivamente con quadri di cirrosi epatica.

Le cause sono molteplici ed in alcune razze è stata riconosciuta una predisposizione familiare all’insorgenza di epatopatie infiammatorie; Doberman, Labrador retriver, Cocker, Dalmata, Pastore tedesco, Beagle e Scottish terrier sviluppano più frequentemente epatiti croniche in un range di età che va dai 4 ai 7 anni ed anche il sesso sembra essere fattore predisponente soprattutto per il Doberman femmina ed il Cocker maschio.

Sintomatologia:

Anoressia, perdita di peso, letargia, PU/PD, ascite, ittero, emorragie ed encefalopatia epatica, sono i segni clinici più ricorrenti in corso di epatopatia infiammatoria cronica ed i reperti laboratoristici mettono in evidenza un aumento degli enzimi epatici

Inizialmente aumentano i livelli dell’ALT (alanina amino transferasi), enzima citoplasmatico organospecifico presente nel fegato ed in minima parte nei muscoli e nei globuli rossi, la cui liberazione è direttamente proporzionale al numero di cellule epatiche danneggiate. Con il perdurare della patologia epatica, per la riacutizzazione dei processi infiammatori tipica dell’epatite cronica attiva, le riserve cellulari dell’enzima vengono meno ed i livelli di ALT si riducono; al contrario l’AST (aspartato transaminasi) in quanto enzima mitocondriale e non organo specifico perché presente anche nei muscoli, al livello miocardico e nei globuli rossi, aumenta proporzionalmente al danno cellulare che cronicizzandosi va ad interessare anche la componente mitocondriale.

Diagnosi e terapia:

La biopsia è fondamentale per una diagnosi di certezza e per una prognosi corretta; la scelta di una terapia risolutiva dipende dal momento della diagnosi e dalla causa primaria scatenante il processo infiammatorio epatico.

Bibliografia: Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Agenti epatotossici

Le intossicazioni sono spesso causa di lesioni epatiche; sede, tipo e gravità del danno variano al variare della sostanza tossica ingerita dall’organismo.

L’arsenico il fosforo ed il tetracloruro di carbonio, come il rame, causano steatosi, il ferro è profibrogeno, le aflatossine provocano l’insorgenza di cirrosi, tumori ed hanno azione anticoagulante (inibizione della sintesi di protrombina nel fegato), i policlorobifenili (PBC), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e gli organoclorurati (OC) sono potenti induttori ed inibitori del sistema microsomiale epatico, gli anticoagulanti (warfarin e dicumarolo) alterano la sintesi dei fattori della coagulazione e le amanitine, tossine del fungo Amanita Phalloides, sono causa di ittero ed epatomegalia.

I FANS, farmaci antiinfiammatori non steroidi, sono noti per gli effetti collaterali al livello gastrico e renale dovuti all’azione di inibizione della sintesi delle PG (prostaglandine), meno nota è l’epatotossicità causata sia da reazioni idiosincrasiche proprie dell’organismo (uomo, animali) sia dall’azione propria del farmaco in grado di provocare danno al parenchima epatocellulare (steatosi) ed al tratto biliare (colestasi). L’aspirina, il carprofen ed il fenilbutazone sono FANS con epatotossicità intrinseca (propria del principio attivo).

Il diazepam, utilizzato come anticonvulsivante e per il controllo di comportamenti anomali (ad es. nel gatto per la minzione in luoghi inappropriati) è responsabile della comparsa di vomito, riduzione dell’appetito, ittero, dell’aumento degli enzimi epatici e dell’insorgenza di un’epatite fulminante molto grave con alterazioni della coagulazione ed insufficienza renale.

Il gatto è particolarmente sensibile agli effetti collaterali del diazepam, mentre nel cane si riscontra una sensibilità maggiore nei confronti dell’alotano, un anestetico gassoso epatotossico in questa specie.

Bibliografia: Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Epatite cronica indotta da farmaci

Nel cane l’utilizzo di cortisonici come agenti chemioterapici o per il controllo delle malattie allergiche/autoimmuni, il trattamento delle crisi convulsive e l’impiego di farmaci antitumorali a lungo termine rappresentano le più comuni cause di epatite cronica indotta da farmaci.

-I cortisonici (prednisone) se somministrati per lunghi periodi di tempo presentano numerosi effetti collaterali; al livello epatico possono causare l’insorgenza di un’epatopatia cronica caratterizzata da aumento di volume del fegato, degenerazione vacuolare da accumulo di glicogeno ed induzione enzimatica.

Gli enzimi epatici ALT, SAP (fosfatasi alcalina) e GGT (gamma glutamil transpeptidasi) possono aumentare notevolmente raggiungendo valori anche 100 volte superiori ai limiti normali; i glucocorticoidi sono in grado di stimolare la produzione e la liberazione di tali enzimi (induzione enzimatica).

-Gli anticonvulsivanti (barbiturici e pirimidone) al livello epatico sono induttori enzimatici come il prednisone, causano aumenti meno significativi degli enzimi ALT e SAP ma possono provocare, all’aumentare delle dosi somministrate per il controllo delle crisi convulsive recidivanti, lesioni ben più gravi come la cirrosi.

-I farmaci chemioterapici (doxorubicina, ciclofosfamide, clorambucile) se utilizzati per lunghi periodi di tempo possono essere epatotossici, anche se gli effetti collaterali che si manifestano con gravi ripercussioni al livello epatico sono più frequenti nell’uomo

Epatopatia da accumulo di rame

Definizione:

Disordine di natura sistemica a carattere ereditario autosomico recessivo che colpisce i cani di razza Bedlington terrier e West Highland White terrier molto simile al morbo di Wilson nell’uomo dove, per un difetto genetico che causa un errore metabolico, il rame (Cu) non viene escreto correttamente attraverso la bile e si accumula nel fegato.

I meccanismi fisiopatologici sottostanti la patologia non sono ancora del tutto conosciuti, anche se la bile, via di escrezione del Cu, sembra giocare ruolo fondamentale anche nel cane; l’accumulo di rame è spesso associato a fenomeni di colestasi che alterano il legame di questo oligoelemento con la metallotioneina, proteina che ne facilita l’eliminazione.

I soggetti portatori possono essere identificati mediante valutazione dei livelli di rame in età precoce (6 mesi) e se necessario esclusi dalla riproduzione; l’epatopatia da accumulo di rame può insorgere anche in maniera asintomatica nel West Highland White terrier e nel Doberman.

 

Sintomatologia:

Nel cane i livelli di Cu possono raggiungere valori superiori a 600 μg/g rispetto ad un range fisiologico compreso tra 91 e 358 μg/g di peso secco; in un fegato dove si sono accumulati elevati livelli di rame qualsiasi stress o insulto può causare necrosi ed emolisi in forma acuta ed insufficienza renale da massiva liberazione in circolo dell’oligoelemento.

I sintomi variano da quadri di epatopatia acuta con vomito, anoressia e letargia fino all’insufficienza d’organo con ripercussioni neurologiche da encefalopatia epatica, ittero, ascite ed anemia emolitica.

Diagnosi e terapia:

La diagnosi è istologica tramite identificazione del rame accumulato al livello lisosomiale, di infiltrati infiammatori, di aree di necrosi e fibrosi che evolvono successivamente in cirrosi e di noduli rigenerativi o tessuto cicatriziale che va a sostituire gli epatociti danneggiati.

La terapia prevede la riduzione dell’apporto di rame con la dieta e l’utilizzo di chelanti che ne facilitano l’eliminazione.

Epatite infettiva (Malattia di Rubarth)

Definizione:

Malattia altamente contagiosa a decorso spesso letale che riconosce come agente eziologico un virus appartenente alla famiglia delle Adenoviridae; CAV-1, canine adenovirus type 1, si trasmette per contatto diretto attraverso la saliva, lo scolo nasale, la contaminazione urinaria e fecale di materiale che può essere successivamente ingerito dagli animali.

Sintomatologia:

La febbre è il primo sintomo seguito da letargia, anoressia, epatomegalia, dolori addominali, ittero, vomito e diarrea anche emorragica e linfoadenomegalia; i reperti laboratoristici evidenziano leucopenia, trombocitopenia, alterazioni della coagulazione, ipoglicemia ed aumento degli enzimi epatici (ALT – AST ). Nei cuccioli l’epatite infettiva può provocare morte improvvisa per collasso cardiocircolatorio.

Il virus è caratterizzato da attiva capacità di replicazione che spiega le elevate quote virali nel torrente circolatorio e la formazione di immunocomplessi responsabili di glomerulonefrite, edema corneale ed uveite (infiammazione della tunica vascolare dell’occhio) da cui deriva il secondo nome della Malattia di Rubarth o Malattia dell’occhio blu.

Il CAV-1 presenta grande affinità per le cellule epatiche e per il sistema reticolo endoteliale; il fegato, all’esame anatomopatologico, appare aumentato di volume ed in preda a fenomeni degenerativi (necrosi e dilatazione venosa) con aumentata attività macrofagica.

Diagnosi:

Anamnesi, visita clinica ed esami di laboratorio sono utili per un’accurata diagnosi differenziale (cimurro, leptospirosi ed avvelenamenti da anticoagulanti), la diagnosi di certezza in vita è tramite esame sierologico, mentre all’esame anatomopatologico avviene tramite isolamento del virus.

Terapia:

L’approccio terapeutico al paziente è di supporto tramite protocolli indirizzati al recupero delle funzioni epatiche e renali; il controllo dell’epatite infettiva si basa sulla prevenzione, la profilassi è quindi di tipo vaccinale.

Bibliografia: Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Farina, Scatozza “Trattato di Malattie Infettive degli animali”seconda edizione UTET. Torino 2002.

MALATTIE DEGENERATIVE EPATICHE: EPATOSI

Epatosi

Molte sostanze o agenti patogeni, sia endogeni che esogeni, presentano un’azione tossica elettiva nei confronti degli epatociti; i fenomeni degenerativi che ne conseguono sono espressione delle modificazioni strutturali e funzionali cui vanno in contro le cellule epatiche.

Le malattie degenerative vengono spesso classificate secondo il tipo di sostanza che si accumula al livello endocitoplasmatico a seguito delle alterazioni metaboliche; il rigonfiamento torbido e idropico, la steatosi e l’amiloidosi  sono le più frequenti.

-Il rigonfiamento torbido è la prima manifestazione di sofferenza cellulare visibile al livello microscopico, gli epatociti aumentano di volume ed il citoplasma perde trasparenza e diventa opaco.

Il rigonfiamento cellulare è giustificato dalla tumefazione mitocondriale (deficit energetico), dall’aumento del contenuto idrico e dall’aumentata sintesi proteica, tutti elementi riferibili ad uno squilibrio metabolico.

-La degenerazione idropica rappresenta un rigonfiamento cellulare per accumulo di acqua (edema intracellulare) da squilibri osmotici a seguito di un mal funzionamento della pompa del sodio presente nelle membrane cellulari. Shock, intossicazioni, ipokaliemia, Morbo di Addison, sono tutte condizioni patologiche in grado di alterare la permeabilità di membrana causando degenerazione idropica.

-La steatosi (degenerazione grassa o lipidosi), rappresenta l’accumulo di lipidi nelle cellule epatiche a seguito di squilibri nel metabolismo dei grassi.

Secondo la causa scatenante si distinguono steatosi tossiche, batteriche, ipossiche, dietetiche ed ormonali.

— Vari tipi di veleni e tossine batteriche bloccano la conversione dei trigliceridi in lipoproteine e quindi ne alterano lo smaltimento.

— L’ipossia induce il blocco ossidativo ed impedisce l’utilizzazione dei grassi a scopo energetico da parte delle cellule.

— Le diete carenti in proteine ed iperlipidiche sono deficitarie di fattori che promuovono lo smaltimento dei lipidi.

— La noradrenalina, l’adrenalina, l’ACTH, gli ormoni tiroidei ed il cortisone sono sostanze dette “steatogene” poiché promuovono la mobilitazione dei grassi di deposito.

Bibliografia:

P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

La steatosi epatica del gatto

Paracetamolo, acido salicilico, morfina e codeina, fenobarbital e cloramfenicolo sono tutte sostanze metabolizzate al livello epatico; il fegato tramite reazioni di coniugazione trasforma i farmaci in metaboliti inattivi che vengono successivamente eliminati dall’organismo. Nel gatto il metabolismo di queste sostanze è ridotto e quindi tali farmaci sono epatotossici se non somministrati a dosi estremamente ridotte. Allo stesso modo la ridotta trasformazione dell’ammoniaca in urea predispone il gatto alle sindromi da intossicazione uremica.

L’epatopatia più frequente in queste specie è la steatosi che può verificarsi a seguito di numerose patologie come l’ipertiroidismo, il diabete mellito, le intossicazioni, l’anoressia o può insorgere in forma idiopatica (FHLS feline hepatic, lipidosis syndrome), prevalente nelle femmine adulte e con peso corporeo notevolmente aumentato.

La causa più comune di steatosi epatica è comunque l’obesità associata a periodi di digiuno prolungato, spesso soggetti obesi che per un qualsiasi motivo (stress) smettono di mangiare vengono portati a visita con sintomi generici come vomito, letargia, depressione ed anoressia. A volte se l’interessamento epatico è notevole e quindi ne è alterata la funzionalità può presentarsi ittero (la colorazione giallastra di pelle e mucose che nel cane e nel gatto è visibile nelle gengive ed al livello oculare).

Il digiuno instaura un meccanismo di eccessiva mobilitazione dei grassi non equilibrato dal trasporto e dall’utilizzazione di questi a scopo energetico, i trigliceridi che si accumulano nel fegato alterano la funzionalità di quest’organo fino all’insufficienza epatica.

I gatti con lipidosi epatica spesso presentano sintomi riferibili a pancreatite; il legame tra fegato e pancreas, in questa specie, è giustificato dall’ingresso del dotto pancreatico nel coledoco prima dell’apertura di questo nel duodeno e dalla stretta vicinanza anatomica di questi organi, vicinanza che si estende anche all’intestino tenue completando il quadro di quella che viene chiamata “Triadite”.

Bibliografia: P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

La steatosi epatica nel cane

La degenerazione grassa del fegato è un fenomeno relativamente frequente che si presenta nel periodo della gravidanza; nelle fasi terminali della gestazione o subito dopo il parto, l’organismo è sottoposto ad un grande stress energetico e gli squilibri metabolici che ne conseguono possono evolvere, se in forma grave, in quella che viene chiamata “tossiemia gravidica della cagna”.

La steatosi epatica che si instaura a seguito di un’aumentata richiesta energetica da parte dell’organismo non è tipica solo del cane e si presenta anche nei bovini (steatosi epatica post partum) e nei cavalli (iperlipemia del pony).

Nei cuccioli invece la steatosi epatica può essere una conseguenza di numerosi fattori stressanti quali lo svezzamento, i cambi di alimentazione, le vaccinazioni, la vendita che comporta cambiamenti repentini ed a volte drastici delle abitudini del cucciolo, etc…

Sindrome che si manifesta nelle prime settimane di vita, caratterizzata da vomito, diarrea, atassia, convulsioni, rigidità della regione del collo, steatosi epatica, renale e cardiaca. In questo particolare caso la patogenesi della degenerazione grassa del fegato è riconducibile al digiuno prolungato ed all’ipoglicemia; nel digiuno la massiva richiesta di lipidi in circolo fa si che nell’organismo si mobilitino i grassi di deposito con aumentata richiesta di sintesi delle lipoproteine trasportatrici. Quando la sintesi delle proteine di trasporto diviene insufficiente ed inadeguata rispetto alla richiesta i grassi si accumulano negli epatociti provocando la steatosi.

Alcune razze sono particolarmente predisposte alle alterazioni del metabolismo dei grassi come lo Schnauzer ed il Pastore Shetland soggetti ad iperlipemia con steatosi epatica per difetto di smaltimento dei trigliceridi che vanno ad accumularsi negli epatociti.

Bibliografia: P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

La steatosi: diagnosi e terapia

Diagnosi:

Anamnesi, esame clinico e profilo ematobiochimico sono importanti per un’accurata diagnosi differenziale in corso di malattia epatica; la diagnosi di certezza è comunque bioptica tramite esame citologico effettuato su di un campione di fegato. Prima di effettuare la biopsia è consigliabile valutare il profilo coagulativo del soggetto con steatosi epatica per scongiurare possibili emorragie.

Trattamento:

Nel gatto la terapia è nutrizionale se la steatosi insorge in soggetti obesi che smettono di alimentarsi, è possibile intervenire anche con l’alimentazione forzata; nel cane e se le cause sono riferibili ad altre patologie intercorrenti è opportuno intraprendere terapie eziologiche (volte ad eliminare la causa) specifiche.

Il fegato è un importante organo di detossificazione, quando la sua funzione viene meno è necessario aiutare l’organismo favorendo il drenaggio e l’eliminazione delle “scorie” che si accumulano in eccesso per preservare l’equilibrio metabolico.

 

 

Bibliografia: P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Amiloidosi

L’amiloidosi è una malattia degenerativa da accumulo dove la sostanza che infiltra il fegato è una proteina fibrillare chiamata “Amiloide”; è una patologia frequente nel cane (in forma primaria), nel bovino (in forma secondaria) e nel gatto (da ipervitaminosi A) e sembra essere espressione di un mal funzionamento dell’immunità cellulo-mediata (macrofagi e plasmacellule) a seguito di eccessiva sovrastimolazione antigenica di queste cellule.

Secondo il tipo di cellule da cui provengono i precursori dell’amiloide si distingue il tipo di amiloide:

  • — Origine immunoglobulinica (catene leggere delle immunoglobuline)
  • — Origine endocrina (proteina ormonale)
  • — Origine secondaria (amiloide AA)

Nella forma secondaria sembrano essere coinvolti nella patogenesi anche i granulociti mentre nella forma endocrina l’amiloide sembra derivare da proteine ormonali secrete da particolari cellule (APUD) presenti nelle ghiandole endocrine.

L’amiloidosi non interessa solo il fegato ed i depositi di amiloide possono ritrovarsi anche in altri distretti dell’organismo come il rene, la milza, il pancreas (questa forma è più frequente nel gatto associata al Diabete Mellito) e la pelle; inoltre le forme localizzate ad un solo organo sono meno comuni rispetto all’amiloidosi a carattere sistemico.

I cani di razza Shar Pei ed i gatti Abissini sono maggiormente predisposti alla forma generalizzata (anche bovini e cavalli) dove la proteina che si accumula al livello epatico, e che interessa anche il distretto renale, è l’amiloide AA o amiloide reattiva sistemica.

L’amiloidosi sistemica si verifica secondariamente a numerose patologie che colpiscono il cane ed il gatto come le infezioni/infestazioni a carattere cronico (leishmaniosi e dirofilariosi), le infiammazioni (pancreatiti, prostatiti, cirrosi, colangiti), le neoplasie (plasmocitoma) ed alcune malattie rare come il Lupus eritematoso sistemico e la neutropenia ciclica (Sindrome del Collie Grigio).

La sintomatologia dell’amiloidosi non è specifica a causa del carattere prevalentemente sistemico della patologia, possono presentarsi a visita cani e gatti con perdita di peso (riduzione della massa muscolare), letargia, edemi periferici, ascite, proteinuria, ipertensione; se è coinvolto prevalentemente il rene possono essere presenti sintomi di insufficienza renale, se è coinvolto prevalentemente il fegato sono prevalenti i sintomi di insufficienza epatica.

La diagnosi di certezza è sempre bioptica, la sostanza amiloide è messa in evidenza con particolari colorazioni per i preparati istologici. L’esame bioptico non è privo di rischi e spesso non viene consigliato in vita, accertare la diagnosi di amiloidosi è solitamente un reperto anatomopatologico.

La terapia è eziologica per eliminare la causa primaria della patologia e sintomatica secondo l’organo maggiormente interessato.

Bibliografia: P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001.

Degenerazione Vacuolare

Definizione.

Processo regressivo, distrofico e degenerativo che colpisce il sistema fagolisosomiale, caratterizzato dalla comparsa di vacuoli di differenti dimensioni all’interno del citoplasma cellulare (degenerazione microvacuolare e macrovacuolare).

I vacuoli si formano a seguito dell’accumulo intracellulare di sostanze (acqua, lipidi, glicogeno e proteine) sia per deficit nei meccanismi di eliminazione che per ridotto metabolismo di queste stesse sostanze prodotte dalla cellula o di derivazione plasmatica.

La degenerazione vacuolare interessa gli organi parenchimatosi ed al livello epatico, in conseguenza a fenomeni di ipossia, l’alterata permeabilità di membrana favorisce l’ingresso delle sostanze plasmatiche che danno origine ad una prima forma di edema; successivamente la cellula assume la caratteristica forma schiumosa per formazione dei vacuoli.

I vacuoli che si vengono a formare possono essere sia di piccole dimensioni, se il passaggio di sostanze avviene per pinocitosi (processo mediante il quale le cellule assumono liquidi), che di dimensioni maggiori, se il trasporto è per fagocitosi (processo mediante il quale le cellule assumono sostanze organiche ed inorganiche).

Nella cellula tali sostanze vengono accumulate nei fagosomi che fondendosi successivamente con i lisosomi formano il fagolisosoma o lisosoma secondario.

1)     Aumento delle sostanze in ingresso: l’alterata permeabilità di membrana favorisce l’introduzione massiva di sostanze che vanno a formare il substrato su cui agiscono gli enzimi litici; il materiale in eccesso causa uno sbilanciamento del rapporto enzima-substrato con conseguente accumulo di materiale non degradato.

2)     Carenza degli enzimi litici: la mancanza di uno o più enzimi per difetti genetici (malattie lisosomiali) o l’assenza di un enzima specifico per un determinato substrato non degradabile comporta l’accumulo di sostanze e la formazione di vacuoli per deficit metabolico; gli enzimi litici possono anche essere presenti in quantità normali ma inibiti dall’azione di farmaci che ne alterano la funzione.

3)     Mancata formazione del fagolisosoma: quando è alterata la fusione tra il lisosoma ed il fagosoma viene bloccata la capacità di demolizione della cellula nei confronti delle sostanze che devono essere degradate e metabolizzate. Alcuni farmaci come il cortisone inibiscono proprio la formazione dei fagolisosomi impedendone la fusione.

Alla base della degenerazione vacuolare vi è un’alterazione di queste tre fasi con conseguente accumulo di sostanze all’interno della cellula e formazione di vacuoli:

I farmaci steroidei (es. cortisone) possono causare una degenerazione vacuolare da accumulo di glicogeno; negli epatociti interessati dal fenomeno degenerativo si evidenzia la riduzione della basofilia citoplasmatica, più evidente alla periferia, e la comparsa di vacuoli frequentemente localizzati ai bordi delle cellule epatiche.

Le degenerazioni vacuolari sono di frequente riscontro nel cane, vengono diagnosticate al livello istologico e sono associate a numerose patologie endocrine, idiopatiche e iatrogene.

Bibliografia: P.S. Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001

Stephen J. Birchard, Robert G. Sherding “Medicina e chirurgia degli animali da compagnia. Manuale pratico” Terza edizione Elsevier Masson. 2009.

Epatopatia vacuolare del terrier scozzese

Definizione:

Il terrier scozzese manifesta, se pur raramente, una particolare epatopatia vacuolare simile a quella indotta da steroidi, dove l’aumento di glicogeno a livello epatico sembra essere dovuto all’azione del progesterone che ne promuove l’accumulo.

Sintomatologia:

I soggetti colpiti posso essere asintomatici, presentare poliuria e polidipsia oppure manifestare i sintomi della sindrome di Cushing.

Diagnosi:

Gli esami di laboratorio evidenziano l’aumento degli enzimi epatici, all’ecografia il fegato è aumentato di volume ed all’esame istologico si rende evidente la degenerazione vacuolare.

Terapia:

La terapia si effettua solo nei soggetti che manifestano la sindrome di Cushing con l’utilizzo dei farmaci specifici per l’iperadrenocorticismo

Epatopatia vacuolare dello schnauzer nano

Definizione:

Malattia congenita caratterizzata da un disturbo metabolico che comporta l’aumento dei trigliceridi e del colesterolo anche a digiuno.

Sintomatologia:

Al livello epatico la degenerazione vacuolare, che si manifesta con vacuoli contenenti sia glicogeno che lipidi, può evolvere successivamente in forma nodulare con conseguente insufficienza epatica, anche se la sintomatologia clinica che ne deriva è relativa alla condizione di lipemia costante responsabile di letargia, inappetenza ed epatomegalia, più che all’insufficienza d’organo.

Diagnosi:

Gli enzimi epatici sono aumentati, è presente epatomegalia e l’esame bioptico mette in evidenza la degenerazione vacuolare.

Terapia:

La terapia prevede una dieta a basso contenuto lipidico con l’aggiunta di antiossidanti ed epatoprotettori.

Sindrome Epatocutanea

Definizione:

La sindrome epatocutanea anche detta dermatite necrotica superficiale o SND è una malattia cutanea che colpisce sia il cane che il gatto; è più frequente nei cani anziani ed in alcune razze (Pastore delle Shetland, Cocker spaniel, Terrier scozzese, West Higland white terrier) ed è strettamente associata a patologie epatopancreatiche.

Sintomatologia:

La sindrome epatocutanea si manifesta con croste ed ulcere simmetriche e bilaterali localizzate al livello di cuscinetti plantari, nelle pieghe cutanee e nei punti di giunzione tra cute e mucose; possono essere presenti anche letargia e riduzione dell’appetito e successivamente, con l’evolvere della patologia, sintomi di Diabete Mellito.

Le lesioni che si vengono a formare sono legate a squilibri metabolici da carenza di amminoacidi che influenzano la cute; nei soggetti con SND è presente una grave riduzione dei livelli plasmatici degli amminoacidi forse dovuta ad un aumentato utilizzo amminoacidico da parte del fegato (aumento del catabolismo).

Diagnosi:

L’esame bioptico della cute mette in evidenza lesioni compatibili con un quadro di ipercheratosi ed iperplasia dell’epidermide mentre all’istologico del fegato il parenchima epatico appare collassato per la presenza di degenerazione vacuolare marcata.

Terapia:

La terapia varia in funzione della patologia sottostante la sindrome epatocutanea che può essere di natura endocrina (affezioni del pancreas endocrino), ormonale (aumento del glucagone), nutrizionale (carenze aminoacidiche, minerali, vitaminiche) o indotta da farmaci ( SND associata alla somministrazione di fenobarbitale).

Bibliografia

P.S Marcato “Patologia sistematica veterinaria” Edagricole, 2002.

P.S. Marcato “Anatomia e Istologia Patologica Generale Veterinaria” Terza edizione Edagricole. 1997.

Ettinger SJ, Feldman EC “Trattato di Clinica Medica Veterinaria: malattie del cane e del gatto” vol. 1-2 Antonio Delfino Editore, 2001

Stephen J. Birchard, Robert G. Sherding “Medicina e chirurgia degli animali da compagnia. Manuale pratico” Terza edizione Elsevier Masson. 2009.

SHUNT PORTO SISTEMICO

Definizione

Anomalia vascolare, congenita o acquisita, caratterizzata dalla formazione di  comunicazioni anomale tra circolo portale e circolo venoso sistemico con conseguente bypass del fegato e perdita della funzione epatica di metabolizzazione e detossificazione delle sostanze assorbite dall’intestino.

Lo shunt può essere intraepatico o extraepatico a seconda della localizzazione all’interno del parenchima epatico o all’esterno del fegato; il primo è generalmente più frequente nei cani di grossa taglia mentre i gatti ed i cani di taglia piccola sono maggiormente colpiti dal secondo tipo di shunt. In particolare nei gatti la forma di shunt che prevale è la portocavale, con comunicazione diretta tra vena porta e vena cava caudale.

Shunt porto-sistemico: eziologia

La forma congenita è tipica di alcune razze che risultano più predisposte di altre; Schnauzer Nano, Yorkshire  Terrier, Irish Wolfhound, Bobtail, Labrador e Golden Retriver, Pastore tedesco, Setter e Samoiedo per i cani,  Europeo, Himalayano e Persiano per i gatti. I soggetti maschi interessati da tale patologia sono frequentemente affetti anche da criptorchidismo.

Gli shunt acquisiti sono secondari ad epatopatie occlusive, cirrosi ed epatiti croniche; come conseguenza dell’ipertensione portale si rendono attive connessioni vascolari residuali porto-sistemiche.  Sono più rari nel gatto rispetto al cane dove l’incidenza di patologie epatiche il più delle volte è maggiore.

Qualsiasi sia il tipo di shunt porto-sistemico il circolo enteropatico è compromesso; la vena porta attraverso i suoi rami principali convoglia il sangue dallo stomaco, dall’intestino, dalla milza e dal pancreas verso il fegato, organo deputato al metabolismo ed alla detossificazione delle sostanze presenti nel sangue, compresi i farmaci e le tossine. Dal fegato attraverso la vena cava il sangue “filtrato” viene riversato nel circolo sistemico.

La presenza di connessioni vascolari anomale fa si che il sangue, oltrepassando il fegato, raggiunga direttamente il torrente circolatorio senza essere stato detossificato. Le sostanze tossiche normalmente disattivate dal fegato sono libere di circolare mentre quelle con tropismo epatico (insulina, citochine) che sono utili al fegato lo bypassano, causando atrofia dell’organo e microepatia.

Tra gli shunt singoli una piccola percentuale è rappresentata dalle Fistole Aterovenose (AV) congenite per difetti nello sviluppo embrionale o acquisite a seguito di interventi chirurgici, processi degenerativi, traumi e neoplasie. Le Fistole AV sono connessioni vascolari anomale tra arteria epatica e vena porta che comportano ipertensione portale e versamenti peritoneali (ascite).

Bibliografia:

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Wilfried R. Kraft,Ulrich M. Dürr “Trattato di medicina e chirurgia del gatto” Edizioni Masson S.p.A. Milano. 2001.

J. K. Kealy,H. McAlliste “Radiologia e ecografia diagnostiche del cane e del gatto” Edizioni Elsevier Masson Milano. 2006.

Theresa Welch Fossum,Cheryl S. Hedlund,Ann L. Johnson “Chirurgia dei piccoli animali” Terza edizione Elsevier Masson. Milano. 2008.

Shunt porto-sistemico: sintomatologia

Nello shunt congenito la sintomatologia compare già in età precoce (entro sei mesi) con sintomi neurologici, gastroenterici ed urinari; vomito, diarrea, convulsioni, atassia locomotoria, depressione del sensorio ed alterazioni della minzione sono i classici sintomi di shunt che si manifestano anche nelle forme acquisite, diagnosticate generalmente in un range di età compreso tra 1 e 7 anni.

Bibliografia:

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Wilfried R. Kraft,Ulrich M. Dürr “Trattato di medicina e chirurgia del gatto” Edizioni Masson S.p.A. Milano. 2001.

J. K. Kealy,H. McAlliste “Radiologia e ecografia diagnostiche del cane e del gatto” Edizioni Elsevier Masson Milano. 2006.

Theresa Welch Fossum,Cheryl S. Hedlund,Ann L. Johnson “Chirurgia dei piccoli animali” Terza edizione Elsevier Masson. Milano. 2008.

Shunt porto-sistemico: diagnosi

Si basa su anamnesi, segni clinici ed esami di diagnostica collaterale.

I segni clinici manifestati dai soggetti affetti da shunt porto-sistemico sono diretta conseguenza del mancato passaggio di sangue al livello epatico. Il fegato bypassato non adempie alle sue principali funzioni di detossificazione e trasformazione dell’ammonica in urea, digestive e di sintesi proteica (albumina).

La diagnosi di certezza avviene tramite l’ausilio di ecografia, radiografia, scintigrafia, identificazione macroscopica dello shunt durante l’intervento chirurgico e portografia intraoperatoria con mezzi di contrasto triiodati non ionici ad eliminazione renale, dotati di bassa tossicità e con minor rischio di reazioni avverse (iohexolo).

Bibliografia:

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Wilfried R. Kraft,Ulrich M. Dürr “Trattato di medicina e chirurgia del gatto” Edizioni Masson S.p.A. Milano. 2001.

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Theresa Welch Fossum,Cheryl S. Hedlund,Ann L. Johnson “Chirurgia dei piccoli animali” Terza edizione Elsevier Masson. Milano. 2008.

Shunt porto-sistemico: terapia

Il trattamento elettivo dello shunt porto-sistemico è l’intervento chirurgico, tuttavia, nei soggetti con sintomatologia di minima entità, lievi alterazioni del profilo ematobiochimico e modeste riduzioni del volume epatico, è possibile intervenire con la terapia medica, altresì indicata prima dell’approccio chirurgico per i pazienti con sintomi riferibili all’encefalopatia epatica.

Anestesia ed intervento chirurgico:

Cani e gatti affetti da shunt porto-sistemico necessitano di un’attenta valutazione preoperatoria, sono pazienti che possono manifestare complicanze maggiori durante l’anestesia; sono più a rischio a causa della ridotta funzionalità epatica che condiziona negativamente la clearance dei farmaci.

I neurolettici fenotiazinici e le benzodiazepine hanno in comune un elevato legame con le proteine plasmatiche ed un intenso metabolismo al livello epatico; l’ipoalbuminemia e l’alterata funzionalità epatica possono indurre un aumentata quantità di farmaco circolante ed un incremento dell’emivita plasmatica. Le benzodiazepine in particolare, agendo sulla trasmissione GABAergica, rappresenterebbero un fattore precipitante l’encefalopatia epatica.

L’approccio chirurgico consiste nella chiusura prima parziale e poi totale dello shunt; la legatura completa dello shunt viene generalmente effettuata dopo il ristabilirsi delle condizioni generali del paziente. La correzione chirurgica degli shunt extraepatici è sicuramente più agevole rispetto a quelli intraepatici dove i rischi correlati all’intervento sono maggiori.

La prognosi nella maggior parte dei casi è favorevole; ipertensione portale, emorragie, coagulopatie, ripiegamento dello shunt, ascite e crisi convulsive rappresentano le possibili e più frequenti complicanze post operatorie.

Bibliografia:

Nelson RW, Couto CG “Medicina Interna del cane e del gatto” seconda edizione italiana Masson, 2002.

Michael Schaer “Medicina clinica del cane e del gatto” Edizione Masson Elsevier. Milano. 2006.

Wilfried R. Kraft,Ulrich M. Dürr “Trattato di medicina e chirurgia del gatto” Edizioni Masson S.p.A. Milano. 2001.

J. K. Kealy,H. McAlliste “Radiologia e ecografia diagnostiche del cane e del gatto” Edizioni Elsevier Masson Milano. 2006.

Theresa Welch Fossum,Cheryl S. Hedlund,Ann L. Johnson “Chirurgia dei piccoli animali” Terza edizione Elsevier Masson. Milano. 2008.