Le scoperte della fisica moderna resero indispensabili profondi cambiamenti in concetti quali spazio, tempo, materia, oggetto, causa, effetto, ecc., e poiché questi concetti sono fondamentali per il nostro modo di conoscere il mondo, non sorprende che i fisici, quando furono costretti a modificarli, si sentissero profondamente disorientati. Tale disorientamento spiega il perché del fatto che, quella che potrebbe essere la più grande rivoluzione scientifica di tutti i tempi (teoria della relatività), sia passata per lo più inosservata agli occhi della maggior parte dei biologi molecolari e genetisti.
Il modello meccanicistico newtoniano dell’universo sorresse tutta la scienza per quasi tre secoli. Lo scenario dell’universo newtoniano nel quale avevano luogo tutti i fenomeni fisici era lo spazio tridimensionale della geometria euclidea classica: uno spazio assoluto, sempre immobile ed immutabile. Tutti i mutamenti che si verificano nel mondo fisico erano descritti in funzione di una dimensione separata, chiamata tempo, anch’essa assoluta, che non aveva alcun legame con il mondo materiale e che fluiva uniformemente dal passato al futuro, attraverso il presente. Gli elementi che si muovevano in questo spazio e in questo tempo assoluti erano le particelle materiali. Nelle equazioni matematiche queste venivano trattate come “punti materiali” e Newton le considerava oggetti piccoli, solidi e indistruttibili dei quali era costituita tutta la materia.
Secondo Newton, all’inizio Dio creò le particelle materiali, le forze che agiscono tra esse e le leggi fondamentali del moto; in questo modo tutto l’universo fu posto in movimento e da allora ha continuato a funzionare, come una macchina, governato da leggi immutabili. Con rigoroso determinismo, tutto ciò che avveniva aveva una causa definita e dava luogo a un effetto definito e, in linea di principio, si sarebbe potuto prevedere con certezza il futuro di una parte qualsiasi del sistema se si fosse conosciuto in un qualsiasi istante il suo stato in tutti i suoi particolari. La base filosofica di questo determinismo rigoroso era la fondamentale divisione tra l’Io e il mondo, introdotta da Cartesio.
Successivamente fu scoperta una nuova realtà fisica che rese evidenti i limiti del modello newtoniano e mostrò che nessuno dei suoi aspetti aveva validità assoluta.
Quando Faraday, muovendo una calamita vicino a una bobina di rame, produsse in essa una corrente elettrica, convertendo così in energia elettrica il lavoro meccanico necessario per muovere la calamita, egli portò la scienza e la tecnologia a una svolta decisiva. Il suo esperimento costituì la base dei successivi sviluppi teorici che portarono Maxwell, alla teoria completa dell’elettromagnetismo. Essi sostituirono il concetto di forza con quello di campo di forze: invece di interpretare l’interazione tra una carica positiva e una negativa dicendo semplicemente che le due cariche si attraggono tra loro, come avviene per due masse nella meccanica newtoniana, Faraday e Maxwell trovarono più appropriato dire che ogni carica crea nello spazio circostante “una perturbazione”, o una “condizione”, tale che un’altra carica, se presente, avverte una forza. Questa condizione dello spazio che ha la capacità di produrre una forza è chiamata campo; essa è generata da una singola carica ed esiste indipendentemente dal fatto che un’altra carica sia o meno presente nel campo e ne avverta l’effetto. Il campo ha dunque una sua realtà e può essere studiato senza alcun riferimento ai corpi materiali. Il punto più alto raggiunto da questa teoria, chiamata elettrodinamica, fu la comprensione del fatto che la luce non è altro che un campo elettromagnetico rapidamente alternante che si sposta nello spazio sotto forma di onda. Agli inizi della fisica moderna si erge la straordinaria impresa intellettuale di un solo uomo: Albert Einstein.
Einstein era profondamente convinto dell’armonia della natura e cominciò a muoversi verso una fondazione unificata della fisica costruendo una struttura teorica comune per l’elettrodinamica e per la meccanica, le due teorie distinte della fisica classica. Questa struttura, nota come teoria della relatività speciale, comportava drastici cambiamenti nei concetti tradizionali di spazio e tempo; essi, secondo questa teoria, sono strettamente connessi e formano un continuo quadridimensionale, lo “spazio-tempo”. Perciò, nella teoria della relatività, non si può mai parlare dello spazio senza parlare del tempo e viceversa; essi diventano soltanto elementi del linguaggio che un particolare osservatore usa per descrivere i
fenomeni dal proprio punto di vista. La modificazione dello spazio e del tempo comporta come principale conseguenza la comprensione che la massa non è altro che una forma di energia.
E = M c2
La forza di gravità dei corpi dotati di massa, secondo la teoria di Einstein, ha l’effetto di “curvare” lo spazio e il tempo. Ciò significa che l’ordinaria geometria euclidea non è più valida in questo spazio curvo. Ovunque si presenti una massa lo spazio circostante è curvo e il grado di curvatura dipende dalla massa dell’oggetto, e poiché nella teoria della relatività lo spazio non può mai essere separato dal tempo, anche il tempo è influenzato dalla presenza della materia e scorre dunque con ritmi differenti in punti diversi dell’universo.
Non solo per la teoria di Einstein tutte le misure riguardanti lo spazio e il tempo sono relative, ma l’intera struttura dello spazio-tempo dipende dalla distribuzione della materia nell’universo.
Al volgere del secolo, furono scoperti numerosi fenomeni in rapporto alla struttura degli atomi e inspiegabili in termini di fisica classica. Ernest Rutherford si rese conto che le cosiddette particelle alfa emesse dalle sostanze radioattive erano proiettili ad alta velocità e di dimensioni subatomiche, utilizzabili per esplorare l’interno dell’atomo: potevano infatti essere lanciate contro gli atomi e dal modo in cui ne fossero state deviate si sarebbero potute trarre conclusioni sulla struttura degli atomi stessi. Quando Rutherford ci provò scoprì che, ben lungi dall’ essere particelle dure e solide come si riteneva che fossero nell’antichità, gli atomi risultarono costituiti da una vasta regione di spazio nella quale particelle estremamente piccole –gli elettroni- si muovevano attorno al nucleo, legati a esso da forze elettriche.
Se immaginassimo di ingrandire il nucleo atomico alle dimensioni di un pallone da calcio, l’elettrone più vicino sarebbe a 10 Km di distanza.
Negli anni Venti un gruppo internazionale di fisici che comprendeva il danese Niels Bhor, il francese Louis de Broglie, gli austriaci Erwin Schrodinger e Wolfgang Pauli, il tedesco Werner Heisenberg e l’inglese Paul Dirac, chiarirono che queste particelle non erano affatto simili agli oggetti solidi della fisica classica. In particolare essi dimostrarono che gli atomi riescono ad assorbire o liberare energia solo in forma di pacchetti discreti chiamati quanti (da qui il nome di Meccanica Quantistica).
Le unità subatomiche della materia sono entità molto astratte che presentano un carattere duale. A seconda di come le osserviamo, ora sembrano particelle, ora onde; e questa natura duale è presente anche nella luce, che può assumere l’aspetto di onde elettromagnetiche o di particelle. Bhor chiamò complementarietà il dualismo manifestato dalla materia nei processi di misura, per cui nel corso della misurazione sarà possibile misurare o la posizione o la velocità, o l’aspetto ondulatorio o l’aspetto corpuscolare di una particella, mai entrambe le cose contemporaneamente. Un’altra conseguenza di questo assunto è che, a livello subatomico, la materia non si trova con certezza in luoghi ben precisi, ma mostra piuttosto una “tendenza a trovarsi” in un determinato luogo, e gli eventi atomici non avvengono con certezza in determinati istanti e in determinati modi, ma mostrano una “tendenza ad avvenire”.
Ne consegue che non possiamo mai prevedere con certezza un evento atomico: possiamo solo dire quanto è probabile che esso avvenga.
La meccanica quantistica rivela una fondamentale unità dell’universo: mostra che non possiamo scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente; non esiste nessun “mattone fondamentale” isolato, ma ci appare piuttosto come una complessa rete di relazioni tra le varie parti del tutto che includono sempre l’osservatore come elemento essenziale.