Disease mongering: quando la malattia non c’è, bisogna inventarla
Dott.ssa Renata Calieri – www.omeo-pathos.com
Se ne sentono di tutti i colori, sul comportamento delle multinazionali del farmaco: dalla corruzione di medici e operatori (la più banale delle operazioni), alla manipolazione dei risultati scientifici per il lancio di un nuovo medicinale; dalle scorciatoie per immettere un farmaco sul mercato nel più breve tempo possibile, ai trucchi per brevettare singole procedure o lievi modifiche molecolari per guadagnarci sempre.
A partire dagli anni ’50 l’industria farmaceutica è molto cambiata, e il benessere della popolazione non si sa che posto occupi rispetto alla ricerca di profitto e a un elenco di incredibili priorità: sicuramente è ben lontano dalla prima originaria “missione” della farma-industria.
Secondo le statistiche e le rivelazioni di farmacologi “pentiti”, la stragrande maggioranza dei farmaci — più del 90% — funziona solo nel 30-50% degli individui, e le aziende lo sanno benissimo. [1]
Che se ne stia accorgendo anche la gente?
Il mercato della salute, cioè quello della gente ammalata, è stato più che spartito, direi sbranato e dilaniato, tra le varie case produttrici e ora bisogna pensare a qualcosa di nuovo, di planetario, che renda profitto immediato e sicuro. Ecco perché pare più che evidente che l’unica direzione da intraprendere sia quella di “curare i sani” (come confessò una trentina di anni fa un pezzo grosso della Merck[1]).
Lo chiamano Disease mongering, è all’ultima moda e di grande tendenza, e tratta di creare un bisogno per trasformarlo in consumo, possibilmente di massa; nello specifico si creano nuove malattie a tavolino. Per fare un esempio, ora anche la timidezza è diventata una malattia: la chiamano “social anxiety disorder” e la curano farmacologicamente. Altri esempi li portano la sindrome denominata “Disturbo di Attenzione e/o Iperattivà” (ADHD) trattata nei bambini con psicofarmaci pesanti e tossici, e il continuo abbassamento dei valori di rischio, ad esempio del colesterolo (passato da 240 a 200) o della pressione arteriosa, di modo che il numero dei pazienti fuori norma sia maggiore.
Qualche anno fa era comparso anche un interessante libro intitolato “Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti”[2] che forniva un’analisi provocatoria, sconcertante e approfondita di come le multinazionali farmaceutiche creano e poi sfruttano, per lucro, le malattie. Con i suoi 545 aggiornatissimi riferimenti bibliografici, questo libro svela tutti i conflitti di interesse e le politiche commerciali dell’industria farmaceutica mondiale ed è quindi una fonte enorme di informazioni sui retroscena speculativi che caratterizzano le principali patologie umane: ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, depressione, ansia, stress, menopausa, osteoporosi, colon irritabile, ecc. [2]
Strumentalizzando la propria influenza sulla scienza medica nel suo complesso, i grandi gruppi farmaceutici stanno promuovendo una vera ridefinizione delle malattie umane per poter espandere il proprio mercato; e modificando i fattori di rischio per la salute e i parametri per valutarli, fanno rientrare sempre più individui tra i malati bisognosi di farmaci. [2]
Ma ci sono altre due strade “facili” per creare consumismo sanitario:
1. quello di (diffondere… o) lasciar diffondere periodicamente nuovi virus ad alta trasmissibilità che infestino un po’ il pianeta (l’abbiamo visto con la SARS nel 2003, con l’Aviaria nel 2005, e con la Suina nel 2009) ottenendo così un exploit di malati bisognosi di medicine;
2. programmare nuove strategie vaccinali (strettamente collegate al punto 1. ma non necessariamente) o rendere obbligatorie (con accordi aziende-governo) alcune vaccinazioni pediatriche, diffondendo allarmismo, terrorismo, minacce.
Relativamente al primo punto, siamo avvezzi ormai a farci stuzzicare periodicamente da qualche virus emergente e inedito: in quest’ultimo caso sono state vendute migliaia di mascherine protettive (che non servivano a nulla, ma sono andate a ruba), gel e soluzioni disinfettanti per le mani da portare sempre con sé per ogni evenienza, e i fatturati di molte aziende sono saliti alle stelle.
Pochi però sono quelli che si fanno prendere dal panico e si comportano irrazionalmente proprio come le aziende farmaceutiche si aspettano; molti di più sono quelli che “non ci cascano più” vuoi perché sono più informati, vuoi perché sono del settore, vuoi perché a forza di gridare “al lupo, al lupo!”… Gli unici che ancora ci cascano (ma ci cascano davvero? O sono accordi consapevoli, che contano sulla dabbenaggine della gente?) sono i governi, che si fanno coinvolgere in acquisti colossali di dosi vaccinali, sovrastimando il loro utilizzo e sottostando a condizioni assurde imposte dall’azienda venditrice per i propri interessi. In particolare, nel caso dell’ultima suina, il governo italiano ha acquistato 24 milioni di vaccini, mentre, secondo i dati diffusi dal Ministero sono state somministrate solo 821.672 prime dosi e 28.611 seconde dosi (totali 850,283), di cui quelle assunte da operatori sanitari e sociosanitari sono state 159.093, pari al 15% del totale (dato particolarmente eloquente). [3]
Però intanto le aziende hanno venduto, hanno riscosso, e hanno fatto girare parecchio denaro.
È del gennaio 2010 la notizia che qualcuno in ambito politico voglia ora “fare chiarezza sui conflitti d’interesse possibili tra organismi europei, come l’Agenzia europea per i medicinali (Emea), il Centro europeo per il controllo e la prevenzione della malattie (Ecdc) e le industrie farmaceutiche”, per far luce cioè su una campagna di vaccinazioni massicce messe in atto spendendo miliardi di euro ”per un’influenza che si sapeva essere benigna già dall’agosto scorso”. Persino il Consiglio d’Europa, organismo che raccoglie 47 Stati, si interroga oggi sulla gestione della pandemia in un’audizione con i rappresentanti delle aziende produttrici di vaccini e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. [4] E allora qualcun altro dovrà dare spiegazioni.
Ma nel frattempo, anche il governo che ora si trova nella condizione di dover vendere alla popolazione ciò che ha acquistato in eccesso e a caro prezzo, si comporta come le aziende che gliel’hanno venduto: con comunicati, messaggi promozionali, campagne informative, e convegni medici, sta cercando di dar fondo alle scorte sollecitando la vaccinazione anti-influenzale suina, anche se l’allarme virus è praticamente esaurito, anche se alla popolazione non serve.
Per quanto riguarda invece le vaccinazioni pediatriche, quelle di routine o meno, è veramente incredibile quello che sta dietro a un falso principio di tutela della gente. Quando si viene a sapere che le vaccinazioni cosiddette “obbligatorie” sono solo 4, mentre quello che normalmente si somministra ai poveri piccoli è un preparato esa- o addirittura epta-valente, (con costi ovviamente proporzionali) diventa chiaro che dietro tutta la manovra vaccinale ci sono pressioni commerciali, speculative, e davvero losche. Insomma è più che evidente che vigono accordi, tra governi e industrie farmaceutiche, decisamente mirati al profitto.
In pratica, oltre ad essere notevolmente più pericolose le vaccinazioni “complesse” (cioè pluri-composte), hanno costi spropositati per l’utente; ma se una famiglia decidesse di voler salvaguardare i propri figli somministrando loro solo quelle strettamente raccomandate, singolarmente non le troverebbe in commercio: non esistono. [5]
Non è tutto dannatamente illogico?
Più che illogico, è molto, molto strategico: il progetto è di vendere ciò che non serve a chi non ne avrebbe affatto bisogno.
Dunque se l’Industria Farmaceutica prepara per tempo le proprie politiche di marketing e studia a lungo le strategie di “ disease mongering” (cioè di “invenzione delle malattie ”) tessendo accordi e amicizie con i centri di potere e di informazione, allo stesso modo anche noi dobbiamo imparare ad informarci per non trovarci impreparati davanti ad eventuali piccoli o grandi inganni, che a quanto pare in questo ultimo tempo non mancano nel mondo sanitario. [6]
Insomma, l’idea che le industrie farmaceutiche vogliano la nostra salute è ormai un mito di pochi sprovveduti. Lo conferma, se non bastasse, il fatto che nessuna di esse investe affatto su farmaci per il trattamento di malattie rare: questi pochi pazienti rimangono senza medicine perché le aziende non ci guadagnano abbastanza.
Ma se è vero che oggigiorno la gente è più informata, e sempre più raramente si affida ciecamente e senza consapevolezza ai suggerimenti degli esperti, questa è l’unica maniera per non farsi abbindolare a costo della salute stessa (e del portafoglio).
Quanti ancora si faranno prendere per il naso?
BIBLIOGRAFIA
[1] Valerio Pignatta – Il mercato della salute – www.disinformazione.it 2007
[3] Ministero della Salute – Comunicato n. 5 dell’8 gennaio 2010 – Influenza A/H1N1 Il punto della situazione alla settimana 53 (28 dicembre 2009-3 gennaio 2010).
[4] ANSA 26-GEN-10 10:15
[5] R. Gava – Le vaccinazioni pediatriche – Edizioni Salus Infirmorum 2009
[6] COMUNICATO SULLA VACCINAZIONE CONTRO IL VIRUS A/H1N1 E SULLE FUTURE PANDEMIE – Libri Salus 22-12-2009 – http://www.librisalus.it/
[7] http://www.la7.it/trasmissioni/video_dettaglio.asp?Trasm=exit&video=32881&prop=adv
[8] R. Gava – L’influenza Suina A/H1N1 e la vaccinazione antinfluenzale: Criteri scientifici di orientamento – Edizioni Salus Infirmorum 2009
[1] Henry Gadsen, direttore generale della Merck, una delle principali case farmaceutiche al mondo, in una dichiarazione alla rivista Fortune.
[2] Di Moynihan Ray e Cassels Alan – Edizioni Nuovi Mondi Media