Studi clinici e omeopatia: denaro sprecato
Non è più efficace del placebo e le sperimentazioni lo dimostrano. Eppure i dati scientifici vengono sovente ignorati, violando il diritto alla tutela dei pazienti
Di recente l’oncologo Gorski e il neurologo Novella sono intervenuti sull’assurdità di insistere con studi clinici randomizzati (RCT, nella sigla inglese) per valutare l’efficacia dell’omeopatia. Con alcune cure alternative è difficile attuare RCT (confronto diretto tra cura e placebo), ma non certo con l’omeopatia. Per la rivista Query Online (agosto 2014) ulteriori ricerche sono solo dispendio di tempo e denaro per dimostrare “ciò che già si sa”, ossia che l’omeopatia non è più efficace del placebo, il cui effetto è “aspecifico”. Ha quindi torto chi afferma che l’omeopatia non faccia niente, perché un effetto aspecifico (che non equivale a efficacia) l’omeopatia può produrlo: ma proprio tale aspecificità è la differenza cruciale con l’efficacia “specifica” di un farmaco attivo. Lo ribadisce nel 2013 un’analisi di 57 rassegne sistematiche promossa dal governo australiano e attuata da ultra-esperti non schierati. Il dossier (300 pagine!) riconferma che l’omeopatia non è meglio del placebo in nessuna di 68 condizioni cliniche.
Nonostante tale riscontro escluda per l’ennesima volta un’efficacia specifica dell’omeopatia, gli RCT si continuano a fare: dall’autorevole banca dati PubMed si evince infatti che le voci su RCT e omeopatia sono più di 400. L’antico monito errare humanum est, perseverare diabolicum risulta dunque poco ascoltato (e non solo in Italia) da alcuni responsabili della Salute, assessorati inclusi, che a parole auspicano risparmi in Sanità, atti a correggere situazioni insostenibili (pronto soccorso al collasso, liste di attesa scandalose, pochi sportelli, organici ridotti, personale superoberato). Eppure, l’invito a smetterla con spese inutili per l’omeopatia non è di oggi, ma viene riproposto da decenni e specie dal 2005. Nel 2010 un Technical Committee, con nomina bipartisan del parlamento inglese per definire l’efficacia dell’omeopatia, di nuovo conclude per un effetto solo placebico di questa cura. Nello stesso anno la British Medical Association accusa pubblicamente l’omeopatia di “stregoneria” (witch) e insiste affinché non si sprechino per essa tempo e denaro pubblico.
Sconcerta allora, e non solo nel nostro Paese, che si ignori l’autorevolezza di queste fonti e non si freni, anzi si agevoli, il diffondersi diseducativo e costoso delle pseudoscienze nelle istituzioni pubbliche. La spiegazione per Gorski e Novella è che così facendo i politici accontentano ingenue istanze popolari, dimenticando che il diritto alla libera scelta delle cure vale solo per quelle di efficacia e sicurezza documentate, e che esiste un diritto dei pazienti più importante ancora: quello di essere tutelati, e non illusi, da proposte prive di validità scientifica. Si registrano già, per la cronaca, delle class action per pubblicità ingannevole contro una ditta produttrice di omeopatici, con risarcimento previsto di 12 milioni di dollari.
Giorgio Dobrilla, primario gastroenterologo emerito dell’Ospedale regionale di Bolzano
(articolo pubblicato sul quotidiano Alto Adige)